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Il declino della crescita vegetale è correlato alla diminuizione dell’umidità nell’aria causata dal riscaldamento climatico

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Scienziati affermano che il boom verde causato dall’innalzamento dei livello di co2 potrebbe essere verso la fine. Credit: NASA.

Il mondo sta gradualmente diventando meno verde, questo hanno scoperto gli scienziati. La crescita sta declinando in tutto il mondo, e le ultime ricerche collegano il fenomeno alla diminuizione di umidità nell’aria, una conseguenza del riscaldamento climatico.

Lo studio pubblicato il 14 agosto in “Science Advances” mostra come le osservazioni satellitari fatte sull’espansione della vegetazione abbiano dimostrato una crescita globale per gran parte degli anni ’80 e ’90, tendenza poi terminata 20 anni fa.

Da allora, più della metà dei territori verdi del pianeta ha sperimentato un trend contrario “marroneggiante” insomma una diminuzione della crescita vegetale, secondo gli autori.

Gli archivi climatici suggeriscono il declino sia associato a una metrica conosciuta come “deficit di pressione del vapore” ovvero la differenza tra la quantità di umidità nell’aria attualmente presente e la massima quantità di umidità che potrebbe trattenere. Un alto deficit in questo senso viene spesso chiamato “secca atmosferica”.

Fin dagli anni ’90 più della metà delle aree verdi del mondo hanno sperimentato una mancanza di crescita, o meglio un pattern di disseccamento.

I modelli climatici indicano che questo deficit di umidità continuerà a crescere mano a mano che il pianeta si riscalda, un fenomeno che potrebbe avere un sostanziale impatto negativo sulla vegetazione.

Non è questo il primo studio che documenta il declino del verde globale. Uno studio del 2010 su Science è stato tra i primi a dimostrare che l’onda verde degli anni ’90 ha stallato per poi invertirsi. Lo studio suggeriva come il declino fosse probabilmente legato in qualche modo all’acqua.

Ciò non vuol dire che ogni angolo della terra stia perdendo vegetazione ovviamente. Alcuni studi recenti hanno rivelato come parti dell’artico stiano diventando più verdi mano a mano che il territorio si riscalda, trend presente anche in altre regioni del mondo.

Il discorso è diverso però se consideriamo il fenomeno su scala globale, decisamente negativo.

Il declino si confronta con un tema spesso portato avanti dagli scettici della scienza del cambiamento climatico per minimizzare le conseguenze di questo fenomeno: l’idea che le piante crescano più velocemente con grandi quantità di anidride carbonica nell’aria. Ciò comporterebbe anche un aumento della produzione di cibo a livello mondiale.

Tale ragionamento risulta fallace, come i climatologi sostengono pazientemente da anni. Alti livello di CO2 beneficiano le piante, ma è solo uno dei tanti fattori e ha effetto fino a un certo punto. Le piante sono influenzate da molti altri effetti del riscaldamento climatico, inclusi aumento delle temperature, cambiamento dei pattern metereologici, cambiamenti nella disponibilità dell’acqua etc.

Molti ricercatori hanno suggerito come il riscaldamento climatico nel suo complesso sia probabilmente negativo per la vegetazione mondiale, incluse le colture agricole. Questo nuovo studio suggerisce come queste conseguenze siano già in moto.

E mano a mano che il cambiamento climatico mostra i suoi effetti sulla crescita verde, questo declino potrebbe riflettersi sulla velocità stessa del cambiamento climatico a sua volta.

La settimana scorsa, un rapporto anticipatorio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change ha enfatizzato l’importanza del territorio e della vegetazione come strumenti per la mitigazione del clima (Climatewire, 8 Agosto). Foreste e altri paesaggi verdi risultano essere significanti “pozzi di carbone”, eliminando anidride carbonica dall’atmosfera immagazzinandola. Meno crescita dall’altro lato significa meno capacità di assorbimento.

L’umidità atmosferica, come l’anidride carbonica, è solo uno dei tanti fattori che influenzeranno la crescita del verde mondiale nei prossimi anni. Dato però il livello di impatto che gli ultimi due decenni ha avuto il trend negativo di questo fattore, gli autori suggeriscono come “debba essere esaminato attentamente nel valutare futuri cambiamenti nel ciclo dell’anidride carbonica”.

Fonte: Scientificamerican.com

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Trascrizione a cura di  Daniel Iversen

Articolo di Charles H. Greene, pubblicato da “Le scienze” (num 534 febbraio 2013)

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La perdita di ghiaccio marino artico favorisce l’arrivo di un clima invernale estremo negli Stati Uniti e in Europa. Ecco come

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Gli ultimi tre inverni sono stati fuori dal normale in alcune parti del Nord America e dell’Europa. Durante gli inverni 2009-2011, la costa orientale degli Stati Uniti e l’Europa nord-occidentale sono state colpite da ondate straordinarie di neve e freddo, tra cui, per esempio, la tempesta del febbraio 2010 (ribattezzata snowmageddon, apocalisse di neve) a Washington, D.C., che ha interrotto le attività del governo per quasi una settimana. Più tardi, a ottobre dello stesso anno, il NOAA Climate Prediction Center (CPC) degli Stati Uniti, basandosi sul fatto che le correnti di La Niña avrebbero portato temperature oceaniche più fresche del solito nel Pacifico orientale, previde un inverno 2010-2011 mite per la costa orientale.

Tuttavia, a dispetto degli effetti di moderazione di La Niña, nel gennaio 2011 New York e Philadelphia sono state colpite da nevicate record e da temperature molto basse, cogliendo di sorpresa il CPC e i meteorologi.
Ma l’inverno 2011-2012 ha portato con sé altre sorprese. Gli Stati Uniti occidentali hanno conosciuto uno degli inverni più miti nella storia, mentre altre zone del Nord America e dell’Europa sono state meno fortunate. In Alaska la temperatura media di gennaio in tutto lo Stato è stata di 10 gradi inferiore alla media mensile del lungo periodo. Nel sud-est dell’Alaska una singola tempesta ha sepolto intere città sotto una coltre di neve arrivata fino a un massimo di due metri. Contemporaneamente, un’ondata di freddo glaciale è scesa sull’Europa centrale e orientale portando temperature fino a –30 grtadi Celsius e cumuli di neve arrivati fino all’altezza dei tetti. Ai primi di febbraio, quando il freddo gelido finalmente se ne andò, più di 550 persone avevano perso la vita.
Come si spiegano queste ondate di maltempo durante un decennio – tra il 2002 e il 2012 – che è stato il più caldo registrato negli ultimi 160 anni, vale a dire da quanto le temperature globali vengono monitorate con strumenti adeguati? Gli scienziati sembrano aver trovato la risposta in un luogo e un tempo molto insoliti: le recenti perdite record di ghiaccio marino in estate nel Mar Glaciale Artico.

Perdite record di ghiaccio

L’Artico è cambiato molto da quando viaggiai per la prima volta sopra il Circolo Polare, nell’aprile del 1989. Il cambiamento più evidente è la ridotta estensione del ghiaccio marino durante il periodo estivo. Ogni inverno il Mar Glaciale Artico congela quasi completamente. Il ghiaccio marino invernale è composto da una spessa coltre di ghiacci a più strati che si è accumulata nel corso degli anni e da uno strato molto più sottile composto dal ghiaccio annuale che si è formato in alcune parti dell’oceano che erano acqua l’estate precedente. Ogni anno, in settembre, lo scioglimento estivo riduce la distesa di ghiaccio marino al suo minimo annuale.
Nel 1989 l’estensione del ghiaccio marino invernale era leggermente superiore ai 14 milioni di chilometri quadrati, 7 milioni dei quali erano costituiti dagli spessi strati di ghiaccio che persistono
anche durante l’estate. Ma oggi la situazione è molto diversa. Benché l’estensione del ghiaccio marino invernale nel 2012 sia stata prossima a quella del 1989, solo una metà di essa – un po’ meno di 3,5 milioni di chilometri quadrati – è sopravvissuta fino allo scorso settembre, facendo registrare un minimo estivo da record.
La perdita di ghiaccio marino artico durante l’estate non è stata né graduale né lineare. Dal 1979, quando sono iniziate le misurazioni del ghiaccio da satellite, fino al 2000, le perdite di estensione del ghiaccio marino non erano state particolarmente evidenti.
Dal 2000 al 2006 il ritmo del declino è aumentato, ma è stato solo nel 2007 che un significativo cambiamento si è imposto all’attenzione di tutto il mondo. Quell’anno, infatti, l’estensione minima del ghiaccio marino in estate è calata del 26 per cento, passando da circa 5,8 milioni di chilometri quadrati nel settembre 2006 a circa 4,3 milioni nel settembre 2007. Questa riduzione senza precedenti del ghiaccio multistrato ha costretto gli scienziati a rivedere le previsioni su quando il Mar Glaciale Artico sperimenterà per la prima volta un’estate senza ghiacci. In base ai dati raccolti prima del 2007, il quarto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva previsto che la prima estate senza ghiaccio sarebbe avvenuta entro la fine del XXI secolo.
La maggior parte degli studi ora prevede che potrebbe verificarsi molti decenni prima: tra il 2020 e il 2040. I cambiamenti nel ghiaccio marino fanno parte dell’amplificazione del riscaldamento globale che ha colpito l’Artico negli ultimi decenni. Mentre il resto del pianeta ha conosciuto un modesto aumento delle temperature di circa 0,8 gradi dall’inizio del XX secolo, le temperature medie dell’Articosi sono innalzate più del doppio di quella cifra nell’arco degli ultimi cinquant’anni. Il rapido riscaldamento ha alterato l’andamento meteorologico della regione, sciogliendo vaste aree di permafrost. Questi cambiamenti dell’ambiente fisico hanno distrutto habitat di importanza vitale per la fauna e la flora selvatiche della regione, minacciando la sopravvivenza a lungo termine di molte specie. Analogamente, le popolazioni indgene dell’Artico, ben note per i loro adattamenti culturali al freddo e al ghiaccio della regione, stanno assistendo a un significativo sconvolgimento del loro modo di vivere e a una minaccia crescente per le loro tradizioni.
Benché questi cambiamenti possano sembrare remoti alla maggior parte di noi che viviamo al di sotto delle regioni polari, il resto dell’emisfero settentrionale non è immune agli effetti dell’amplificazione artica e della perdita di ghiaccio marino. Gli andamenti meteorologici delle medie latitudini sono influenzati dal clima artico, il che porta a un interrogativo cruciale: c’è il riscaldamento locale dietro le ondate di inverni rigidi registrate in questi ultimi anni o questi violenti fenomeni rientrano nello schema delle naturali oscillazioni climatiche del pianeta?

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Pressione in atmosfera

La natura faceva senz’altro sentire i suoi effetti negli anni sessanta, quando da piccolo, nei pressi di Washington, D.C., mi facevo strada a fatica nella neve per andare a scuola con i miei amici durante un decennio di inverni straordinariamente rigidi. Gli scienziati ora sanno che l’origine di questi inverni freddi e nevosi era dovuta a due oscillazioni climatiche naturali che allora non avevano un nome, ma che oggi sono conosciute come Oscillazione artica (AO, Arctic Oscillation) e Oscillazione nord-atlantica (NAO, North Atlantic Oscillation). Queste due oscillazioni climatiche hanno origine dalle interazioni tra l’atmosfera e l’oceano e mostrano i loro effetti più evidenti durante l’inverno (si veda il box). La potenza di ogni oscillazione è caratterizzata con un indice che quantifica le anomalie – le deviazioni dalla media sul lungo termine – nella distribuzione della pressione atmosferica durante l’inverno su una determinata regione. Nel caso dell’indice AO, si tratta di una regione molto ampia, che comprende la maggior parte dell’emisfero settentrionale, dal Polo Nord fino al confine con i tropici, a 20 gradi di latitudine nord (circa la latitudine di Cuba). L’indice AO può essere positivo o negativo. I valori positivi corrispondono a pressioni inferiori alla media nell’Artico e superiori alla media nelle regioni subtropicali. Durante le fasi positive dell’indice AO, pressioni anormalmente basse nella zona artica portano a un rafforzamento del vortice polare, una circolazione persistente di venti nell’alta atmosfera che soffiano da ovest a est intorno l’Artico. Un vortice polare rafforzato tende a bloccare le masse artiche di aria fredda a nord del Circolo Polare. Al contrario, durante le fasi negative dell’indice AO le pressioni anormalmente basse nell’Artico indeboliscono il vortice polare che quindi ha più difficoltà a imprigionare le masse d’aria fredde, che di conseguenza possono invadere le medie latitudini a sud portando ondate di freddo e forti nevicate. La costa orientale degli Stati Uniti e il Nord Europa sono particolarmente vulnerabili a questi eventi durante i periodi di oscillazione artica fortemente negativi. L’indice NAO caratterizza anomalie nella distribuzione della pressione atmosferica durante l’inverno su una regione molto più piccola, che comprende il settore atlantico dell’emisfero settentrionale tra il centro di alta pressione subtropicale vicino alle Azzorre e il centro di bassa pressione subartico nei pressi dell’Islanda. Come l’indice AO, anche l’indice NAO può essere sia positivo sia negativo. I valori positivi corrispondono a pressioni atmosferiche superiori alla media nel centro di alta pressione subtropicale e pressioni inferiori alla media nel centro di bassa pressione subartico. Durante le fasi NAO positive, le maggiori differenze di pressione rafforzano i venti occidentali che soffiano tutto l’anno da ovest a est lungo le medie latitudini dell’emisfero occidentale. Le differenze di pressione guidano inoltre la veloce corrente d’aria circumglobale nota come corrente a getto lungo un percorso nord-est, dalla costa orientale del Nord America verso l’Europa settentrionale. Le tempeste invernali che attraversano il Nord Atlantico seguono un percorso simile, portando un tempo più umido e mite nel Nord Europa. Al contrario, durante le fasi NAO negative le ridotte differenze di pressione indeboliscono i venti occidentali, e la corrente a getto che lascia il Nord America curva più nettamente verso nord, raggiungendo la Groenlandia prima di tornare indietro verso il sud e l’Europa. In questo caso, tuttavia, il percorso della perturbazione diverge da quello della corrente a getto e attraversa il Nord Atlantico direttamente verso l’Europa meridionale e il Mediterraneo, portando un clima più umido e più mite di quelle aree, mentre il Nord Europa rimane freddo e secco. I climatologi concordano che gli indici AO e NAO dovrebbero essere considerati come due modalità distinte di variabilità naturale del clima. Alcuni sostengono che la NAO sia semplicemente una manifestazione dell’AO nel Nord Atlantico; altri dicono che le dinamiche dei due fenomeni sono abbastanza diverse da richiedere un trattamento separato. Benché i due indici siano altamente correlati, a volte i loro comportamenti divergono in modo significativo, come è accaduto per esempio proprio lo scorso inverno.

Verso un clima invernale estremo

Mentre le emissioni di gas serra continuano ad alterare il sistema climatico terrestre, qualunque cambiamento si sovrapporrà alle naturali oscillazioni climatiche del sistema. Distinguere il contributo dell’uomo ai cambiamenti climatici è difficile, e richiede la verifica delle ipotesi. Una recente ricerca ha fornito nuovi elementi di prova che rafforzano l’ipotesi che il riscaldamento globale e la perdita di ghiaccio marino artico stanno influenzando i nostri inverni attraverso un’alterazione dei normali ritmi dell’AO e del NAO.
Guardando indietro agli anni sessanta della mia infanzia, vediamo che gli indici AO e NAO erano prevalentemente negativi, portando a inverni più nevosi e più freddi della media lungo la costa orientale degli Stati Uniti. Non vi è alcun motivo di sospettare che questo decennio di inverni rigidi fosse niente di più della semplice variabilità naturale dovuta a AO e NAO. Al contrario, dagli anni settanta agli anni novanta l’indice NAO è stato prevalentemente positivo, con una sola fase invernale negativa. Gli inverni miti che ne sono derivati hanno coinciso con una maggiore consapevolezza del cambiamento climatico globale, spingendo molti scienziati a ipotizzare che alla base di quello che appariva come un periodo insolitamente lungo di inverni con indice NAO prevalentemente positivo vi fosse un aumento della concentrazione di gas serra. I modelli a cui fa riferimento l’IPCC prevedevano che questa tendenza sarebbe continuata con l’aumento costante dei gas serra. Ma invece la prevalenza di inverni con fasi AO e NAO fortemente positive è terminata durante la seconda metà degli anni novanta.
Ma anche se la serie di inverni NAO positivi si è conclusa, non significa che l’ipotesi di una relazione tra aumento dei gas serra e indice NAO fosse sbagliata. Ciò che non era stato previsto all’epoca era l’accelerazione dell’amplificazione artica a partire dalla fine degli anni novanta. Poiché gli effetti amplificati del riscaldamento globale si sono avuti sopra il Circolo Polare Artico, le condizioni climatiche sono entrare in una fase detta «periodo artico caldo», caratterizzata da rapide perdite di ghiaccio marino artico, della banchisa in Groenlandia, del permafrost e dei ghiacciai continentali. Al centro di ognuno di questi cambiamenti c’è un processo definito feedback ghiaccio-albedo, in cui la riflessione della radiazione solare di un’area diminuisce via via che la sua copertura di ghiaccio si scioglie, esponendo terreni più scuri o superfici marine.
Una particolare preoccupazione riguarda il feedback ghiaccioalbedo nell’Oceano Artico. La perdita di ghiaccio marino estivo espone più acqua alla radiazione solare in arrivo. L’assorbimento di questa radiazione porta a un riscaldamento eccessivo delle acque superficiali che si traduce in due effetti importanti. In primo luogo, una parte del calore in eccesso rafforza la fusione del ghiaccio marino estivo. Inoltre l’oceano rilascia gradualmente in atmosfera gran parte del rimanente calore in eccesso durante l’autunno, aumentando così la pressione atmosferica e il tasso di umidità nell’Artico e riducendo le differenze di temperatura tra l’Artico e le medie latitudini.
Un aumento della pressione atmosferica nell’Artico e un calo del gradiente di temperatura favoriscono lo sviluppo di fasi AO e NAO negative nel corso dell’inverno, procando un indebolimento del vortice polare e della corrente a getto. Un vortice polare indebolito riesce meno a impedire che le masse d’aria fredde artiche, con il loro elevato contenuto di umidità, scendano fino alle medie latitudini e portino intense ondate di freddo e neve.
Inoltre, una corrente a getto indebolita presenta onde più ampie nella sua traiettoria, onde che possono rimanere bloccate in un punto, stringendo in una morsa di gelo una determinata regione.
Insieme, questi schemi alterati di circolazione atmosferica tendono a favorire ondate di clima invernale estremo più frequenti e persistenti in Nord America e in Europa.
Possono entrare in gioco anche altri fattori. L’oscillazione meridionale ENSO, meglio conosciuta come El Niño, un’altra oscillazione climatica importante al centro dell’Oceano Pacifico, può influire notevolmente sul clima invernale negli Stati Uniti continentali. Nelle regioni sud-orientali e in quelle medio-atlantiche degli Stati Uniti, gli anni di El Niño portano inverni più piovosi, mentre gli anni di La Niña portano inverni più asciutti. Insieme, le fasi AO e NAO negative durante gli anni di El Niño possono aumentare le probabilità di inverni freddi e rigidi lungo la costa orientale, come è accaduto nell’inverno 2009-2010. Le fasi AO e NAO negative possono inoltre contrastare gli inverni asciutti e miti previsti negli anni di La Niña. È quanto è accaduto nell’inverno 2010-2011, quando le basse temperature e le nevicate record a New York e Philadelphia hanno sorpreso i meteorologi che, basandosi solo su La Niña, avevano previsto condizioni più miti.

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L’inverno alle porte

Anche se i cambiamenti nell’Artico potrebbero aver favorito ondate di inverni rigidi più frequenti e persistenti, non si può mai essere sicuri di ciò che succederà in un determinato anno. Dopo tutto, le previsioni del tempo comportano sempre un certo livello di incertezza. L’inverno 2011-2012 è stato un buon esempio delle sfide legate alle previsioni meteorologiche. Il CPC aveva previsto un clima relativamente mite negli Stati Uniti orientali a causa dello sviluppo di La Niña nel Pacifico. Gli indici AO e NAO erano positivi all’inizio della stagione invernale, ma a metà gennaio sono emerse condizioni negative dell’AO, durate fino ai primi di febbraio, mentre il NAO è rimasto positivo. L’Alaska e alcune regioni dell’Europa centrale e orientale sono stati colpiti da freddo intenso e pesanti tempeste di neve, mentre negli Stati Uniti orientali il clima è rimasto insolitamente mite. Un sistema di alta pressione associato a La Niña nel Pacifico orientale aveva guidato la corrente a getto molto più a settentrione sopra il Nord America rispetto a quanto accade generalmente nelle fasi di AO negativa di metà inverno e ha consentito così al calore di spostarsi dal Golfo del Messico e salire verso gli Stati Uniti orientali, generando il quarto inverno più caldo mai registrato in questa regione. Il percorso più a nord della corrente a getto ha portato inoltre condizioni climatiche più miti verso l’Atlantico settentrionale e l’Europa orientale. Ai primi di marzo nel Pacifico orientale, il sistema di alta pressione atmosferica forte e persistente si è rinforzato, intensificando ulteriormente le insolite condizioni atmosferiche e portando a temperature record lungo gli Stati Uniti medio occidentali e orientali. Nonostante la persistenza di calore fuori stagione in questa zona, tuttavia, è bene notare che in altre parti dell’emisfero settentrionale sono stati registrati un inverno e un inizio di primavera insolitamente freddi. Infatti l’NCDC ha riferito che la temperatura media globale a marzo 2012 è stata la più bassa dal 1999. Anche per questo inverno la situazione sembra orientata verso ondate di condizioni atmosferiche rigide in Nord America e in Europa. La perdita record di ghiaccio marino artico osservata durante la scorsa estate dovrebbe aumentare la probabilità per le masse d’aria artiche fredde di invadere le regioni alle medie latitudini. Anche se è difficile prevedere quali siano le regioni a media latitudine più vulnerabili, le condizioni meteorologiche di El Niño che si sono sviluppate nel Pacifico nell’autunno del 2012 possono incrementare uno spostamento verso sud della traiettoria della corrente a getto aumentando così le probabilità di avere una fine inverno fredda e difficile negli Stati Uniti orientali. La costa orientale potrebbe essere particolarmente vulnerabile alle tempeste nord- orientali tipiche della regione, che portano temperature rigide e intense nevicate. Anche se è impossibile dire con certezza se vedremo ripetersi le violente tempeste nord-orientali dell’inverno 2009-2010, lo sviluppo estivo e autunnale dei mesi scorsi presenta una somiglianza maggiore con le condizioni verificatesi durante il 2009 rispetto a qualsiasi altro anno a partire dal 2007, cioè da quando è avvenuto un significativo cambiamento in peggio nella perdita di ghiaccio marino artico.

PER APPROFONDIRE

Climate Drives Sea Change. Greene C.H. e Pershing A.J., in «Science», Vol. 315, pp. 1084-1085, 23 febbraio 2007.

The Recent Arctic Warm Period. Overland J.E., Wang M. e Salo S., in «Tellus», Vol. 60, n. 4, pp. 589-597, 2008.

An Arctic Wild Card in the Weather. Greene C.H. e Monger B.C., in «Oceanography», Vol. 25, n. 2, pp. 7-9, 2012.

Evidence Linking Arctic Amplification to Extreme Weather in Mid-latitude.

Francis J.A. e Vavrus S.J. in «Geophysical Research Letters», Vol. 39, articolo n. L06801, 17 marzo 2012.

FONTE: LeScienze

Licenza Creative Commons
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Trascrizione a cura di  Daniel Iversen

Articolo di Michael Le Page per “New Scientist“, Stati Uniti

Pita Meanke, of Betio village, stands beside a tree as he watches the 'king tides' crash through the sea wall his family built onto his family property, on the South Pacific island of Kiribati.I dati sul cambiamento climatico non danno segnali di miglioramento in nessun campo.Dallo scioglimento dei ghiacci alle alluvioni, fino al livello del mare

Nel 2007 l’International panel on climate change (Ipcc) ha tracciato un quadro preoccupante del futuro del pianeta. Nel prossimo rapporto, previsto per il 2014, la scenario potrebbe essere ancora più drammatico.

 

Artico Negli ultimi decenni, con il progressivo riscaldamento del pianeta, il ricongelamento dei mari durante l’inverno ha smesso di compensare lo scioglimento dei ghiacci in estate. Il ghiaccio bianco, che riflette il calore, ha ceduto il posto all’acqua scura, che lo assorbe. Nelle terre circostanti le nevi si stanno sciogliendo ancora più velocemente. L’aumento di umidità nell’atmosfera ha contribuito a intrappolare il calore. Il ghiaccio, già indebolito, è assalito da onde e precipitazioni sempre più estreme. A causa di questi processi l’Artide ha cominciato a riscaldarsi al doppio della velocità rispetto alle altre regioni del pianeta. Alla fine degli anni novanta lo spessore della banchisa artica è sceso ai livelli più bassi da almeno 1.400 anni. Alla fine dell’estate scorsa solo un quarto del mar glaciale Artico era ancora coperto dai ghiacci (record negativo nell’epoca moderna) e il volume totale della banchisa era un quinto rispetto a trent’anni fa. È rimasto solo un sottile strato di ghiaccio che si scioglie molto più facilmente.

Condizioni meteorologiche Nel 2010 in molte città della Russia le temperature hanno sfiorato i 40 gradi centigradi. Nel 2011 la “bufera del giorno della marmotta” ha rovesciato una incredibile quantità di neve sugli Stati Uniti e il Canada occidentali. Anche quest’anno ci sono state condizioni meteorologiche eccezionali: dai diluvi estivi nel Regno Unito al temporale che ha lasciato al buio milioni di case negli Stati Uniti nel bel mezzo di un’ondata record di caldo fino alle devastazioni provocate dall’uragano Sandy. C’è un filo che unisce tutti questi fenomeni. In un mondo che si riscalda sempre di più, gli spostamenti delle precipitazioni e l’aumento dell’evaporazione provocheranno maggiori siccità. Un’atmosfera più calda trattiene più acqua, rendendo più intense le precipitazioni. È difficile, anche se non impossibile, stabilire fino a che punto i cambiamenti climatici influenzino i singoli eventi. È innegabile però che il fenomeno sia in crescita. Già nel 2007, l’anno dell’ultimo rapporto dell’Ipcc, i dati tendenziali sul caldo estremo, le siccità e le forti precipitazioni erano chiaramente in aumento. Questa tendenza si sta confermando e le condizioni meteorologiche stanno diventando ancora più estreme rispetto alle previsioni. Secondo un recente studio sulla salinità degli oceani tra il 1950 e il 2000, realizzato dal Commonwealth scientific and industrial research organisation (Csiro) in Australia, il ritmo del ciclo idrologico globale – la velocità del processo di evaporazione dell’acqua e della sua condensazione sotto forma di pioggia – è aumentato del doppio rispetto alle proiezioni dei modelli che simulano il clima globale. Gli studi di alcuni ricercatori di Taiwan e Cina hanno stabilito che negli ultimi trent’anni l’aumento dell’intensità delle precipitazioni è stato maggiore di un ordine di grandezza rispetto alle previsioni dei modelli climatici. Quanto alle ondate di caldo come quelle registrate in Europa nel 2003 e nel 2010, eventi così fuori norma erano previsti solo per la fine del secolo. Secondo Jennifer Francis, climatologa della Rutgers university, il riscaldamento del mar glaciale Artico potrebbe essere parte della spiegazione.

Produzione alimentare Fino a qualche mese fa le previsioni parlavano di raccolti record negli Stati Uniti. Gli agricoltori avevano piantato di più sperando di trarre vantaggio dall’aumento dei prezzi. La produzione invece è scesa a causa della siccità e di un caldo senza precedenti. Nel Regno Unito c’è stato il problema opposto: i raccolti sono scesi per l’eccesso di pioggia. Ora che il maltempo si è abbattuto sui raccolti anche in altre regioni del mondo i prezzi alimentari si stanno di nuovo impennando. Tutto questo contrasta con il rapporto dell’Ipcc del 2007, secondo il quale un aumento delle temperature globali di almeno 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali avrebbe causato un aumento dei livelli di anidride carbonica tale da far crescere i raccolti, almeno nelle regioni temperate. Solo un riscaldamento nell’ordine di 3,5 gradi o più avrebbe dovuto provocare un calo della produzione. A quanto pare, invece, i cambiamenti climatici stanno avendo l’effetto contrario, anche se la temperatura del pianeta è aumentata di soli 0,8 gradi. Nel 2011 un  team della Stanford university ha analizzato la produzione globale di grano, mais, riso e soia dal 1980 al 2008. In base agli effetti conosciuti di temperatura, precipitazioni e livelli di anidride carbonica sulla crescita, i raccolti medi sono più bassi di oltre l’1 per cento rispetto al valore che ci sarebbe stato senza il riscaldamento.

Livello del mare Fino a poco tempo fa nessuno prevedeva che la Groenlandia perdesse una quantità di ghiaccio significativa prima di qualche secolo e si prevedeva una crescita dello strato di ghiaccio dell’Antartide. Il rapporto del 2007 dell’Ipcc ipotizzava che da allora alla fine del secolo i due strati di ghiaccio avrebbero contribuito all’aumento del livello del mare di soli 0,3 millimetri all’anno. Le rilevazioni satellitari confermano che le due banchise stanno già perdendo una quantità di ghiaccio sufficiente a far innalzare il livello del mare di almeno 1,3 millimetri all’anno. Le ultime simulazioni effettuate dai ricercatori dell’istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, oltre ad altri studi sul clima nel passato, indicano che presto il nostro pianeta si riscalderà a tal punto da provocare lo scioglimento dell’intero strato di ghiaccio della Groenlandia. La maggioranza dei glaciologi pensa che entro il 2100 il livello del mare si alzerà di almeno un metro, forse anche del doppio. Quanto basta, comunque, per inondare molte città che si trovano a pochi metri sopra il livello del mare o a renderle vulnerabili alle precipitazioni.

Feedback planetari Solo la metà delle emissioni di anidride carbonica che produciamo resta nell’atmosfera, il resto è assorbito dal terreno e dagli oceani. Con il riscaldamento globale la quantità che terreno e acqua riusciranno ad assorbire sarà minore e alla lunga cominceranno anche loro a emettere anidride carbonica. Sul rapporto del 2007 dell’Ipcc erano pubblicate le proiezioni dell’aumento di emissioni di anidride carbonica di mari, terreni e vegetazione. Nessun modello, tuttavia, prevedeva l’emissione dell’anidride carbonica intrappolata nel permafrost e negli idrati di metano sui fondali marini. I ricercatori della University of Victoria nella British Columbia, in Canada, hanno fatto un primo tentativo di tenere conto delle emissioni del permafrost, e prevedono che le emissioni provocheranno un ulteriore riscaldamento di circa 0,25 gradi, con punte ipotizzate fino a 1 grado entro il 2100.

Emissioni dell’uomo Se smettessimo in questo momento di rilasciare anidride carbonica nell’atmosfera, avremmo una buona possibilità di evitare un aumento consistente delle temperature. Ma non ci sono segnali che stia succedendo. Le emissioni annuali sono diminuite impercettibilmente dopo il 2008, in seguito alla più grave crisi dopo la grande depressione, ma poi sono tornate a crescere più di prima. Per ora il dato si avvicina allo scenario peggiore previsto dall’Ipcc nel 2007: un aumento di quattro gradi entro il 2100, ben oltre i due gradi che secondo gli esperti dovremmo evitare a tutti i costi. Questo scenario, però, non è stato rappresentato secondo i modelli più avanzati disponibili quando è stato preparato il rapporto. Oggi le “migliori stime” parlano di un aumento di 5-6 gradi, con un 10 per cento di possibilità di arrivare a sette.

Stress da calore Il dato saliente non è tanto la temperatura dell’aria, ma la temperatura della nostra pelle: il sudore raffredda l’epidermide, ma è meno efficace in condizioni di umidità. L’effetto combinato di calore e umidità può essere misurato dalla temperatura di bulbo umido di un termometro “che suda”, cioè da un termometro avvolto in un panno umido. Oggi le massime temperature di bulbo umido raggiunte sul pianeta non superano i 31 gradi, ma secondo le previsioni dovrebbero aumentare. È difficile attribuire un preciso valore numerico a questi effetti, perché finché godiamo di buona salute non ci preoccupiamo del caldo. Andiamo a cercare il fresco o mettiamo l’aria condizionata. Ma c’è un limite. È impossibile sopravvivere a lungo a una temperatura di bulbo umido di 35 gradi o oltre. Secondo uno studio del 2010 di Steven Sherwood e Matthew Huber, dell’University of New South Wales di Sydney, se la temperatura aumenterà di sette gradi, in alcune parti del mondo questo limite sarà superato. Ampi tratti di Africa, Australia, Cina, Brasile, India e Stati Uniti diventeranno invivibili per buona parte dell’anno.

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Articolo di Anita Blasberg e Kerstin Kohlenberg, dalla rivista “Die Zeit“, Germania.

Trascrizione a cura di  Daniel Iversen

Da anni la grande industria paga esperti di comunicazione e scienziati per convincere l’opinione pubblica che il riscaldamento climatico non esiste. L’inchiesta della Zeit.

da “Internazionale” numero 978 . 7 dicembre 2012

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Montoloking, Stati Uniti, 31 ottobre 2012. I danni provocati dall’uragano Sandy.
Andrew Quilty (oculi/vu/emblema)

Marc Morano diffonde il dubbio con la tastiera. Seduto sul sedile posteriore di una limousine nera, imbraccia la sua arma più potente: il computer portatile. Fuori dal finestrino scorre un paesaggio autunnale, mentre Morano pubblica sul suo sito un nuovo titolo a caratteri cubitali: “L’ente del governo statunitense per la tutela ambientale accusato di fare esperimenti sugli esseri umani”. È uscito mezz’ora fa dalla sua abitazione, una grande villa in un sobborgo di Washington, per andare negli studi di Fox News. Siamo alla vigilia della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Doha, nel Qatar, dove i ministri dell’ambiente e i capi del governo di tutto il mondo si incontrano per discutere nuove misure contro il riscaldamento globale. Morano non è un climatologo. Non sa calcolare la pressione atmosferica né analizzare i dati sulle temperature. È un addetto alle pubbliche relazioni: la sua specialità consiste nel formulare messaggi comprensibili a tutti. Quando andava ancora a scuola, negli anni ottanta, ha contribuito alla campagna elettorale dei repubblicani. Telefonava a perfetti sconosciuti e gli spiegava perché Ronald Reagan era la scelta migliore. In seguito, dopo la laurea in scienze politiche, ha fatto il rappresentante di una ditta di depurazione delle acque di scarico. Morano è uno in grado di vendere qualsiasi cosa. È stato invitato a una trasmissione di Fox News dedicata ai consumatori, Money with Melissa Francis, per parlare di energie rinnovabili. Morano si siede davanti a uno sfondo nero. La telecamera inquadra il suo volto, che tra poco arriverà in tutte la case degli Stati Uniti. È un uomo robusto sui 45 anni, indossa giacca e cravatta. Il suo sorriso è cordiale, ma non bisogna farsi ingannare: Morano riesce sempre a provocare i suoi avversari. Durante un recente dibattito televisivo ha interrotto così spesso un climatologo, che alla ine lo studioso non ce l’ha fatta più e gli ha dato dello stronzo. In quel momento Morano ha avuto la vittoria in pugno. Questa volta è da solo in studio e si atteggia a esperto del settore: “Lo sfruttamento dell’energia solare è alimentato dalla paura del riscaldamento globale”, dice con espressione preoccupata. “Ma è solo una questione ideologica”. Morano è l’esponente più aggressivo di una truppa di mercenari pagata profumatamente. È protagonista di una lotta per la quale negli Stati Uniti sono nate almeno trenta lobby. Una lotta inanziata con centinaia di milioni di dollari contro la ricerca sul clima. Già anni fa Morano affermava: “I climatologi dovrebbero essere picchiati senza pietà. Meritano di essere tutti flagellati pubblicamente”. Il suo datore di lavoro è il Committee for a constructive tomorrow, un’organizzazione nata per fare da contraltare ad associazioni ambientaliste come Greenpeace. Negli ultimi anni è stata finanziata, tra gli altri, dalla casa automobilistica Chrysler e dai gruppi petroliferi ExxonMobil e Chevron. Quella di Marc Morano è la storia di un progetto di disinformazione ben organizzato. Un esempio da manuale dell’arte della menzogna. La storia è cominciata più di vent’anni fa, quando il mondo ha preso coscienza di una realtà terribile: l’emissione di anidride carbonica riscalda la Terra. Presto è stato chiaro che le possibili contromisure sarebbero costate molti miliardi ai settori industriali. Soldi che le imprese avrebbero potuto risparmiare se fossero riuscite a contrapporre al cambiamento climatico qualcosa di diverso: il dubbio sui risultati della ricerca. Forse i dati sono sbagliati, forse la Terra non si sta afatto riscaldando. E anche se sta succedendo, magari è un fenomeno innocuo, un processo naturale che non ha niente a che fare con le centrali elettriche a carbone. In questi anni persone come Morano hanno cercato di instillare questi dubbi nella testa dei lettori dei giornali, degli spettatori televisivi, dei giornalisti e dei politici.

La mazza da hockey

Screenshot_2013-01-04-13-59-08Per capire il complesso sistema dell’atmosfera terrestre, nel 1988 più di cento capi di governo hanno fondato l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), un gruppo in cui gli scienziati di tutto il mondo analizzano i risultati degli studi sul clima. I dati sono chiari. L’innalzamento delle temperature aumenta il rischio di tempeste violente, mentre le siccità e le inondazioni diventano più frequenti, i ghiacciai e le calotte polari si sciolgono, il livello del mare sale. “Noi pensavamo di aver finito il nostro lavoro”, dice Michael E. Mann, un ricercatore statunitense dell’Ipcc. “Pensavamo che da quel momento sarebbe stato compito dei politici”. Mann dirige il Centro per le scienze della Terra dell’università della Pennsylvania, l’istituto meteorologico più importante degli Stati Uniti. Il suo ufficio è pieno di oggetti: ci sono pile di riviste scientifiche, e alla parete è appoggiata una vecchia mazza da hockey che gli è stata regalata dalla squadra di un college del Vermont. “È cominciato tutto con la mazza da hockey”, dice.
Nel 1998 Mann era uno scienziato di 33 anni che sognava di dare una spiegazione alle variazioni climatiche. Insieme a due colleghi raccolse i dati sulle temperature di migliaia di anni e analizzò coralli, anelli degli alberi e campioni di ghiaccio polare. Alla fine i risultati furono riuniti in un grafico che lasciò di stucco i tre ricercatori: fino al 1850 la curva della temperatura terrestre era praticamente piatta, ma poi si impennava rapidamente, proprio quando gli esseri umani avevano cominciato a bruciare carbone, petrolio e gas. A Mann la curva sembrava una mazza da hockey. I tre ricercatori pubblicarono il loro studio su Nature, e la “mazza da hockey”, come fu subito chiamato il grafico, li catapultò sulle pagine di Time. Mann, timido e impreparato, finì nelle più importanti trasmissioni televisive d’attualità degli Stati Uniti. La mazza da hockey è la dimostrazione della responsabilità umana nel cambiamento climatico. All’inizio ne erano convinti anche i conservatori. L’influente senatore repubblicano John McCain presentò insieme al democratico Joseph Lieberman una proposta di legge per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica: il Climate stewardship act. La National academy of sciences, l’istituto scientifico più prestigioso degli Stati Uniti, confermò i risultati dello studio di Mann. Ben 928 articoli scientifici sul cambiamento climatico pubblicati tra il 1993 e il 2003 sono arrivati alla conclusione che la Terra si sta riscaldando per colpa degli esseri umani.
Secondo il direttore della rivista Science, è il consenso scientifico più straordinario della storia. “Ma la mazza da hockey”, spiega Mann, “è stata la cosa peggiore che potesse succedere all’industria”. Probabilmente è per questo che nel 2002 un consigliere dell’allora presidente George W. Bush preparò il copione di un’imponente controffensiva. “Forse l’ambiente è il tema su cui i repubblicani (e il presidente Bush in particolare) sono più vulnerabili”, scrisse l’esperto in un rapporto strategico per la Casa Bianca. Secondo lui, bisognava “attaccare frontalmente” gli scienziati per diffondere nell’elettorato dei dubbi sulla loro attendibilità. “È ora di trovare esperti che simpatizzino con le nostre posizioni”. Poco dopo Bush mise insieme un gruppo di consulenti in cui figuravano potenti rappresentanti dell’industria petrolifera. Il Partito repubblicano, inoltre, scelse James Inhofe come presidente della commissione per l’ambiente al senato. Inhofe, un repubblicano dell’Oklahoma che all’epoca aveva 70 anni, definì “burocrazia da Gestapo” l’agenzia governativa per l’ambiente (l’Environmental protection agency, Epa), un’istituzione indipendente che dovrebbe controllare l’applicazione delle leggi di tutela ambientale. Il neopresidente della commissione assunse un nuovo stratega per le pubbliche relazioni: Marc Morano. Inhofe introdusse un’innovazione: le cosiddette scientific integrity hearings, le audizioni per la correttezza scientifica. Il senato si trasformò in un tribunale scientifico. Sul banco degli imputati si ritrovarono ricercatori famosi il cui lavoro era stato confermato centinaia di volte. Per il ruolo della pubblica accusa il senatore chiamò profani come lo scrittore Michael Crichton, che in un romanzo raccontava di climatologi corrotti che mandavano in rovina il pianeta. Poco prima del voto in senato sulla proposta di legge di McCain e Lieberman, Inhofe convocò anche Michael Mann e lo mise a confronto con Willie Soon e David Legates, due ricercatori che si sono fatti pagare profumatamente dalle aziende del settore energetico: ino a oggi Soon ha ricevuto più di un milione di dollari dalla ExxonMobil e da altre ditte. In uno studio controverso, finanziato tra l’altro dall’American petroleum institute, Soon aveva scritto che i dati di Mann sono sbagliati. “Il clima del ventesimo secolo non è né insolito, né estremo”, commentò Soon. Poi Inhofe chiese ai presenti se erano d’accordo sul fatto che l’aumento delle emissioni di anidride carbonica presentava molti vantaggi per la flora e la fauna. “Sono d’accordo”, rispose Soon. “Non vedo molti elementi a favore di questa tesi”, disse Mann. “Tendenzialmente concorderei”, aggiunse Legates. Le riprese televisive di quell’audizione descrivono una realtà semplice: un ricercatore considera il riscaldamento globale un dato di fatto, mentre due suoi colleghi lo mettono in dubbio. Il video, però, non dice che il primo rappresenta il mondo scientifico, mentre gli altri due non sono presi sul serio dai loro colleghi. Alla fine il risultato della votazione in senato sulla legge di McCain e Lieberman, che si svolse il 30 ottobre 2003, fu di 55 voti contrari e 43 a favore. Il Climate stewardship act fu bocciato.

Una scomoda verità

Uummannaq, Groenlandia
Stanley Greene (Noor/Luzphoto)

Nove anni dopo, nell’autunno del 2012, Marc Morano racconta: “Riuscimmo a fermare le leggi sul clima nel giro di tre anni”. Lo dice con l’orgoglio di uno scolaro che parla di un compito in classe andato bene. Morano è seduto a un tavolo del Capital Grill, un ristorante della periferia di Washington che serve ottime bistecche. Un tempo negli armadi a muro chiusi con i lucchetti si conservavano i costosi sigari dei clienti abituali.

“Quando nei ristoranti si poteva ancora fumare”, dice Morano alzando gli occhi al cielo. Non gli piace che la politica interferisca nella sua vita. Non gli piace quando si afferma che il fumo nuoce alla salute, che la foresta pluviale è in pericolo e che la sovrappopolazione è un problema. “È tutta ideologia”, ripete. Morano ama la sua famiglia, i suoi quattro figli e la moglie Jennifer. Gli piacciono la sua villa vittoriana e il suo fuoristrada nero. Gli piace vivere come dice lui. Quando fu assunto da Inhofe come addetto alle pubbliche relazioni, per prima cosa ristrutturò il sito della commissione per l’ambiente, dove raccolse tutti i contributi che negavano il riscaldamento globale. Più un testo se la prendeva con gli studi sul clima, più centrale era il suo posizionamento. Su internet, Morano riusciva a trovare molti articoli del genere. Andava tutto a gonfie vele. Poi, però, nel 2006 l’ex candidato democratico alla presidenza, Al Gore, presentò il documentario Una scomoda verità. Gore mostrava immagini di ghiacciai che si scioglievano, deserti che si espandevano e città allagate. Il suo lavoro era simile a quello di Morano: anche Gore aveva un messaggio e lo formulava in modo che chiunque potesse capirlo. Solo che dietro di lui non c’era l’industria, ma la ricerca scientifica. Il ilm fu proiettato nei cinema e nelle scuole. E all’improvviso si scoprì che l’84 per cento degli statunitensi considerava il cambiamento climatico una minaccia. Morano doveva farsi venire in mente qualcosa. Allora si ricordò della massima del consulente politico Karl Rove, ex vice dello staf di George W. Bush: “Non attaccare i punti deboli del tuo nemico, ma i suoi punti di forza”. E il punto di forza degli scienziati era la loro credibilità.
Il 20 dicembre 2007 le redazioni dei giornali e delle tv di tutti gli Stati Uniti ricevettero un rapporto di 175 pagine – apparentemente serissimo – pubblicato da Morano. Sotto l’intestazione della commissione per l’ambiente, con tanto di stemma del senato, si leggeva il titolo: “Più di quattrocento insigni scienziati mettono in dubbio le cause umane del riscaldamento globale”. Quasi tutte le redazioni abboccarono. Mancava poco a Natale: pochi giornalisti si preoccuparono di verificare i 413 nomi e le relative dichiarazioni. I quotidiani e i telegiornali citarono il rapporto senza sosta: dal New York Times al Boston Herald, dalla Fox News alla Cnn. In realtà 44 di questi presunti scienziati erano solo annunciatori delle previsioni del tempo, 84 avevano lavorato per il settore petrolifero, 49 erano da tempo in pensione e 90 non avevano niente a che fare con gli studi sul clima. Gli altri erano ricercatori che non avevano mai messo in dubbio che il cambiamento climatico fosse provocato dagli esseri umani ma che, come succede spesso nella comunità scientifica, si stavano confrontando criticamente con questioni come l’effettiva velocità dell’innalzamento del livello del mare. I testimoni più importanti di Morano erano due fisici: Fred Singer, che all’epoca aveva 83 anni, e Frederick Seitz, che ne aveva 96 ed è morto quattro anni fa. Negli anni ottanta Singer aveva lavorato per il programma missilistico degli Stati Uniti e Seitz per quello degli armamenti nucleari. I due, convinti anticomunisti al soldo di Ronald Reagan, adesso aiutavano Morano a difendere la libertà dall’ecofascismo. I loro articoli uscivano sul New York Times, sul Wall Street Journal e sul Washington Post. Così, come in passato la mazza da hockey di Mann era inita sulle prime pagine di tutti i giornali, ora i mezzi d’informazione si lanciarono sull’ultima notizia: la situazione non è poi così grave come sembra. In passato Seitz aveva minimizzato i rischi del fumo di sigaretta per conto del produttore di tabacco Reynolds, incassando 65mila dollari all’anno. Singer era stato sul libro paga dei gruppi petroliferi ExxonMobil, Shell e Texaco. Singer e Seitz avevano fondato le organizzazioni Science and environment policy project e Nongovernmental international panel on climate change (Nipcc) con lo scopo dichiarato di gettare discredito sull’Ipcc.
Quelle di Singer e Seitz fanno parte di un insieme di associazioni e istituti finanziati dall’industria che si è sviluppato intorno a Washington: una sorta di villaggio Potëmkin della scienza popolato da esperti pagati che servono gli interessi dei loro committenti. Ci sono lo Heartland institute, l’American enterprise institute, il Marshall institute, il Frontiers of freedom institute e l’Independent institute. Un elenco interminabile di istituzioni che si spacciano per serie e indipendenti e che a loro volta danno vita a entità specializzate sui temi ambientali. Come per esempio il Committee for a constructive tomorrow, il datore di lavoro di Morano. Nel giro di pochi anni queste organizzazioni hanno pubblicato più di cento libri sul cambiamento climatico. Gli autori sono stati invitati a importanti trasmissioni televisive e hanno tenuto conferenze in congressi internazionali sul clima appositamente organizzati. Un meccanismo di menzogne ben oliato e capace di autoalimentarsi. Mentre Mann e gli altri scienziati dell’Ipcc lavorano senza ricevere compensi, in un piano economico per il 2012 trapelato di recente sui mezzi d’informazione lo Heartland institute ha scritto riguardo all’Nipcc: “Sponsorizziamo l’Nipcc per mettere in discussione il rapporto ufficiale dell’Ipcc. Abbiamo pagato 388mila dollari a un’équipe di giornalisti per farli lavorare ad alcune pubblicazioni”. Nel documento si legge inoltre: “Il nostro attuale bilancio ci permette di finanziare persone di grande esperienza capaci di contraddire regolarmente le affermazioni degli allarmisti del riscaldamento climatico. In questo periodo i fondi vanno a Craig Idso (11.600 dollari al mese), Fred Singer (cinquemila dollari al mese) e Robert Carter (1.667 dollari al mese)”. Tra il 1997 e il 2004 l’industria del petrolio e del gas ha investito 420 milioni di dollari per diffondere il dubbio.

Sul banco degli imputati

Screenshot_2013-01-04-13-59-41Alla fine del 2007 l’Ipcc è stato insignito del premio Nobel per la pace. Ma all’epoca negli Stati Uniti non si sentiva parlare da un pezzo di consenso bipartisan o di proposte di legge comuni per la difesa del clima. Anzi, Mann era ancora una volta sul banco degli imputati a Washington. “Questioni aperte sulla mazza da hockey”: era questo il titolo dell’audizione alla quale l’aveva convocato la commissione per l’energia. Mann sapeva bene che non c’era nessuna questione aperta e che i suoi risultati erano indiscutibili, ma era comunque nervoso. Davanti alla Rayburn house, la sede della camera dei rappresentanti, erano parcheggiate le stazioni mobili di tutti i principali canali televisivi. Mentre Mann saliva le scale, i cameraman gli correvano dietro insieme ai giornalisti. Lo scienziato era appena diventato padre e il suo contratto con l’università sarebbe scaduto presto. Per la prima volta in vita sua Mann si era rivolto a un avvocato. A questo punto non si trattava solo di scienza: c’era in gioco la sua stessa esistenza. L’audizione durò tre ore. Uno statistico che fino a quel momento non aveva mai avuto a che fare con gli studi sul clima descrisse Mann come il burattinaio di una cospirazione internazionale, mentre un ex consulente dell’industria sostenne che il ricercatore aveva giocato sporco. Mentre Mann cercava di difendersi, Morano seguiva lo spettacolo dalla sala del pubblico. L’esperto di pubbliche relazioni sapeva che sbarazzandosi di Mann e della sua mazza da hockey sarebbe riuscito a farla finita con l’Ipcc e con tutte le leggi che potevano rendere più costosa la combustione di petrolio, gas e carbone. Quando la sala di Washington si svuotò, Morano andò da Mann e gli porse la mano sorridente. Mann gliela strinse con cortesia, e a ripensarci Morano ride ancora oggi: “Non aveva la minima idea di chi avesse davanti”. Alla fine dell’audizione non venne fuori nessun dato nuovo. Nei giorni seguenti l’American geophysical union, l’American meteorological society e altre trenta associazioni scientifiche si schierarono dalla parte di Mann. Ma il dubbio persisteva.
Quando ripensa all’audizione di Washington nel suo studio dell’università della Pennsylvania, Mann fa un profondo sospiro: “Quelle persone sono ciniche”, dice. “Che Morano non ce l’abbia con me personalmente mi è chiaro. Vuole solo intimidirmi. Vuole intimidire un’intera disciplina”. Mann ha il volto pallido e parla a bassa voce. Tra poco compirà 47 anni, ma ha ancora la timidezza di una persona che si trova più a suo agio in laboratorio che in compagnia di altri. Gli piace esplorare le foreste della Pennsylvania e vivere la pace del college di questa cittadina universitaria, dove abita in una casa di periferia con sua moglie, una biologa. Ed è contento che nella sua casa la corrente elettrica sia prodotta dall’energia eolica. “Ha mai sentito parlare della strategia del Serengeti?”, mi chiede Mann. “I predatori del Serengeti uccidono le loro prede isolando un animale dal resto del branco: quando resta da solo lo aggrediscono”. Nel 2009 la crisi ha colpito anche i mezzi d’informazione. Gli editori e gli studi televisivi hanno ridimensionato le redazioni, e un giornalista statunitense su tre ha perso il posto di lavoro. La Cnn ha smantellato l’intera redazione scientifica e alla fine l’annunciatore delle previsioni del tempo, Chad Meyers, è diventato un esperto di cambiamento climatico. Meyers la pensa così: “È presuntuoso pensare che noi esseri umani possiamo influenzare l’assetto meteorologico fino a questo punto”. Questi tagli, negativi per i lettori, sono stati invece positivi per Morano. Per risparmiare il tempo e le risorse necessarie a indagare sulle questioni climatiche, molte redazioni hanno cominciato a neutralizzare ogni opinione con un’opinione contraria: ogni affermazione di un climatologo è integrata da quella di un negazionista. Nel suo portatile Morano aveva memorizzato migliaia di indirizzi email di giornalisti, suddividendoli in diciannove liste ripartite tra curatori di rubriche, moderatori televisivi, redattori scientifici (“che non sono tanto aperti alle mie tematiche”) e giornali locali (“che accettano sempre tutto volentieri”).

Climategate


Il 17 novembre 2009 Mann stava festeggiando il giorno del ringraziamento insieme alla sua famiglia quando alle 21.57 qualcuno che aveva adottato lo pseudonimo Foia scrisse sul blog Air Vent. Foia riportava l’indirizzo di un server da cui si potevano scaricare mille messaggi privati di posta elettronica dei più importanti climatologi, tra cui quelli di Mann. Cos’era successo? Alcuni ignoti erano riusciti a entrare nel server del dipartimento di studi sul clima della University of East Anglia, nel Regno Unito, e si erano impossessati di email e documenti. Poi li avevano resi accessibili in rete con perfetto tempismo rispetto alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che doveva aprirsi all’inizio di dicembre a Copenaghen. Morano stava viaggiando sul sedile posteriore di un’auto a noleggio lungo la Paciic coast highway quando gli squillò il cellulare. Era in California per fare campagna contro una nuova legge sull’ambiente. Un conoscente lo aveva chiamato per raccontargli delle email trafugate, sottolineando che contenevano cose pazzesche. Per esempio, il fatto che Mann aveva scritto in un messaggio di essere ricorso a un “trucco” per mascherare la riduzione delle temperature. Un trucco! Bastava questa parola per dimostrare che tutta la questione del cambiamento climatico era solo una colossale messinscena. In poco tempo il presunto scandalo ricevette anche un nome: Climategate. Morano aprì un sito in cui raccoglieva tutte le notizie sulle email dei ricercatori. Intanto descriveva il caso come “il più grande scandalo della scienza moderna”. Morano lavorò febbrilmente per notti intere finché il Climategate non invase l’universo di Google. In due settimane, la storia sul presunto inganno dei climatologi si diffuse su più di 25 milioni di pagine web. Quasi nessun giornalista lesse i testi originali delle email, ma quasi tutti i mezzi d’informazione accolsero con gratitudine l’interpretazione di Morano: “L’ultimo chiodo sulla bara del riscaldamento globale”. Fox News parlava della “Waterloo del riscaldamento globale” e il quotidiano britannico Daily Telegraph avvertì: “Se siete in possesso di azioni di aziende attive nel settore delle energie rinnovabili, vendetele subito”. Perino la prestigiosa rivista The Atlantic scrisse sdegnata: “La puzza della corruzione intellettuale è travolgente”. La conferenza mondiale sul clima di Copenaghen si concluse con un nulla di fatto. Il senato statunitense bocciò la legge per la difesa del clima presentata dal presidente Barack Obama. Ma poche settimane dopo, nella primavera del 2010, negli Stati Uniti e nel Regno Unito due commissioni d’inchiesta parlamentari assolsero gli scienziati da ogni accusa. Le citazioni a loro carico erano state estrapolate dal contesto. Mann aveva usato la parola “trucco” solo per descrivere una soluzione lecita a un problema statistico e nei set di dati non c’erano tracce di manipolazione. Anche questa notizia comparve sui giornali, ma da qualche parte sulle ultime pagine. Oggi, però, neanche uno statunitense su due crede al cambiamento climatico. “È tutta opera di Morano”, spiega Mann nel suo ufficio. Intanto l’addetto alle pubbliche relazioni ha modificato la strategia dei negazionisti. Gli studiosi del clima non sono più solo dalla parte del torto: ormai sono dei criminali che ingannano consapevolmente i cittadini. E gran parte dell’opinione pubblica gli crede. Nell’agosto del 2010 Mann era nel suo ufficio quando ha aperto una lettera e gli è caduta addosso una polverina bianca. La polizia ha fatto evacuare l’edificio sospettando un attacco chimico. L’Fbi ha avviato un’indagine. Alla ine si è scoperto che la polvere era farina, ma Mann ha capito che la sua vita non sarebbe stata mai più come prima. La Commonwealth foundation, una fondazione di Filadelfia che si batte per “il libero mercato”, ha invitato l’università della Pennsylvania a licenziare Michael Mann e ha organizzato manifestazioni nel campus quasi ogni giorno. Intanto un gruppo finanziato dall’industria del carbone ha invitato su Facebook a boicottare le lezioni di Mann, e su YouTube sono usciti video che ridicolizzavano lo scienziato con una caricatura prodotta da uno studio di pubbliche relazioni che lavora per i repubblicani a Washington. Durante le conferenze di Mann, di colpo in sala comparivano persone che sventolavano in aria cappi da impiccagione. Mann ha cambiato numero di telefono. “Ho tenuto nascoste a mia moglie quasi tutte le lettere minatorie che ho ricevuto”, ha detto in seguito il ricercatore. Insieme ad altri studiosi del clima, Mann ha aperto un sito, Realclimate.org, dove gli scienziati hanno cominciato a controbattere a tutte le accuse. Ma restano in minoranza: i ricercatori devono fornire prove per ogni affermazione, mentre i loro avversari possono sostenere quello che vogliono. Gli scienziati seguono il ritmo lento della ricerca accademica, mentre agli altri serve solo una connessione a internet. In questo modo un piccolo gruppo ha messo nell’angolo la comunità scientifica internazionale, schiacciata da un gigante immaginario che ormai trova sostenitori anche nei tribunali. Nel 2010, Ken Cuccinelli, il procuratore generale della Virginia, ha avviato un procedimento giudiziario per chiarire se fosse il caso di ritirare il titolo accademico a Mann. Cuccinelli, un repubblicano, ha chiesto all’università della Virginia, che all’epoca era il datore di lavoro di Mann, di consegnargli tutte le email, i documenti e i dati dello scienziato. Nel marzo del 2012 il tribunale ha pronunciato un verdetto favorevole a Mann. Tre mesi dopo, il 4 giugno, lo scienziato ha partecipato a una trasmissione della Msnbc, Now with Alex Wagner. Appoggiato a un leggio, ha detto con espressione concentrata: “Da anni gruppi agguerriti finanziati dall’industria cercano di screditarmi con un solo obiettivo: impedire che la politica passi all’azione”. Dall’inizio dell’anno Mann frequenta programmi televisivi, tiene conferenze nelle università e concede interviste a radio e giornali. Inoltre ha raccontato la sua storia in un libro, The hockey stick and the climate wars (La mazza da hockey e le guerre del clima). Le radio e i giornali che si interessano a lui non hanno un grande seguito. Mann non fa notizia, ma si esprime con precisione e chiarezza. Ha deciso di esporsi in pubblico per affrontare Morano sul suo stesso campo: la comunicazione. Il ricercatore è sempre timido. Di fronte alle telecamere inarca la schiena irrigidito, ma per lui è finalmente arrivato il momento di difendersi. Di recente ha ricevuto un’altra email anonima: “Lei e i suoi colleghi meritate di essere uccisi, squartati e dati in pasto ai maiali insieme alle vostre dannate famiglie”. Durante le sue apparizioni pubbliche, ormai Mann è scortato dalla polizia. Diversi colleghi hanno trasferito i loro uffici in zone protette dove le porte si possono aprire solo con un codice segreto.

Katherine Lambert 2012 (2)

Sbarco in Europa

Perché fa tutto questo? Mann parla di sua figlia, che ha sette anni: “Questa battaglia è per lei”, risponde. “E per gli altri bambini”. Ma anche gli avversari di Mann pensano ai bambini. Lo Heartland institute ha pagato centomila dollari a un consulente del ministero dell’energia perché elaborasse un programma scolastico alternativo in cui si spiega ai ragazzi che il cambiamento climatico non è stato dimostrato. Di questi tempi Morano si dedica anima e corpo alla lotta contro le energie rinnovabili. “Sul riscaldamento climatico a Washington ce l’abbiamo fatta”, dice. Quella di Doha è la prima conferenza sul clima a cui non si è sentito in dovere di partecipare. Per lui la guerra è vinta. Solo in Europa i negazionisti del cambiamento climatico sono ancora sulla difensiva. Ora Fred Singer vola spesso oltre l’Atlantico, soprattutto in Germania, dove molti credono ancora ai risultati delle ricerche. Singer vuole cambiare la situazione. Nel settembre del 2010 l’esperto è stato ospite del Bundestag su invito dei liberali della Fdp. Marie-Luise Dött, la portavoce per l’ambiente del gruppo parlamentare della Cdu, è rimasta colpita: “Professor Singer, ho trovato le sue argomentazioni molto illuminanti ed esposte in un bello stile americano”, ha detto la deputata. Gli scettici, ha aggiunto Dött, hanno bisogno di “una maggioranza nella società”. Questa frase, ha comunicato in seguito la Cdu, è stata citata in modo scorretto.
A novembre Singer è stato di nuovo in Germania, a Monaco di Baviera, per una conferenza organizzata dall’Istituto europeo per il clima e l’energia (Eike), con il sostegno del Committee for a constructive tomorrow. L’addetto stampa dell’Eike è Horst Lüdecke, un professore emerito di isica di 70 anni che si occupa di clima da quando è andato in pensione. “Ho appreso i fondamenti della materia da autodidatta”, dice orgoglioso. Nel comitato scientifico dell’Eike ci sono un giornalista e un esperto di scienze forestali, mentre il presidente è uno storico e il vicepresidente un ingegnere elettrotecnico che durante le sue conferenze parla volentieri dello scenario tremendo di un’ecodittatura: niente riscaldamento, niente auto, niente fabbriche. “Siamo quasi tutti pensionati”, dice Lüdecke.
L’Eike non ha una sede, solo una casella postale a Jena, mentre il suo sito è il principale punto di riferimento in Germania per i negazionisti del cambiamento climatico: un cielo azzurro coperto da nubi a pecorelle sovrasta un prato rigoglioso, il logo blu e giallo con una corona di stelle ricorda il simbolo dell’Unione europea. L’effetto è invitante, serio, scientifico. Sulla home page si trovano link a siti statunitensi come quello di Morano oppure a Klimaskeptiker. info, il “forum contro le eresie dell’effetto serra e della salvaguardia del clima”. Di recente l’Eike, fondato nel 2007, è stato dichiarato associazione di pubblica utilità e ora può chiedere ufficialmente donazioni. Ma chi finanzia l’Eike? “È un segreto”, risponde Lüdecke. Quanti sono gli iscritti? “Qualunque informazione potrebbe essere usata contro di noi”, dice l’addetto stampa a bassa voce. Ma l’istituto, aggiunge, ha ottimi contatti con i parlamentari di tutti i partiti. Con chi per la precisione? Lüdecke scuote la testa con aria da cospiratore. “La questione è troppo scottante”. Il mondo dei negazionisti tedeschi potrebbe essere liquidato come innocuo se di recente non fosse sceso in campo un peso massimo della politica: Fritz Vahrenholt, un esponente dell’Spd. Ex responsabile per l’ambiente del land di Amburgo, alla fine degli anni novanta Vahrenholt è diventato manager del gruppo petrolifero Shell per poi passare al gruppo energetico Rwe e prima di entrare nel consiglio di vigilanza di una sua controllata, la Rwe Innogy. Nel 2006 la Rwe è stata coinvolta in una causa contro Greenpeace e ha dichiarato che il cambiamento climatico è solo “una percezione soggettiva, un rischio presunto che non è né concreto né attuale”. Un anno prima un consulente statunitense di pubbliche relazioni che lavorava per la Rwe aveva stilato un documento strategico per contrastare la svolta energetica, raccomandando di creare “una coalizione con altre aziende interessate” e di imparare da statunitensi come Marc Morano.
Nel febbraio del 2012 Vahrenholt ha pubblicato il libro Die kalte Sonne (Il Sole freddo), in cui sostiene che la Terra si sta riscaldando molto più lentamente di quanto si pensi. All’uscita del libro la Bild ha pubblicato una lunga serie di articoli sulla “menzogna dell’anidride carbonica”. Vah renholt è stato intervistato dallo Spiegel, sulla Zeit ha avuto anche gli onori della prima pagina. Intanto è comparso alla Zdf e ai microfoni dello Hessischer Rundfunk, del Norddeutscher Rundfunk e del Südwe strundfunk. Vahrenholt è l’esperto presti gioso che gli scettici tedeschi del cambia mento climatico aspettavano.

Screenshot_2013-01-04-14-00-33Una buona notizia

Il 20 settembre 2012, davanti alla Frauen kirche di Dresda, Vahrenholt ha detto allargando le braccia e sorridendo bonario: “Ho una buona notizia per voi. Da quattordici anni le temperature non stanno più aumentando e per di più ora il Sole si sta raffreddando, per cui la temperatura globale si ridurrà ancora”. Poi l’esperto si è ri volto al pubblico: “La famosa mazza da hockey è solo il frutto di misurazioni erra te”. Di fronte a lui erano seduti pensionati in costose giacche da escursionismo che annuivano soddisfatti. “La fine delle certezze” era il titolo della serie di iniziative organizzate dalla cancelleria di stato della Sassonia. Vahrenholt era in buona compagnia: l’ex primo ministro sassone Kurt Bie denkopf, il ministro della difesa Thomas de Maizière, l’esperto di sicurezza dei Verdi Winfried Nachtwei e la scrittrice austriaca Kathrin Röggla. All’inizio dell’incontro Vahrenholt è stato presentato come scienziato esperto di questioni climatiche, impegnato nelle politiche per l’ambiente, manager e autore di libri. Non si è accenna to al fatto che la sua è una posizione isolata, che i giornalisti specializzati hanno stroncato il suo libro, definendolo l’opera populista di un non addetto ai lavori. Alcuni studenti hanno fatto delle domande critiche, ma Vahrenholt aveva uno studio da citare per ogni obiezione e un nu mero pronto per controbattere a ogni tesi. Alla fine sembrava un pubblico di pazzi che aveva davanti uno che ha capito tutto della vita. Il giorno in cui Vahrenholt ha parlato a Dresda erano passati quattordici anni da quando Mann e i suoi due colleghi avevano pubblicato il grafico della mazza da hockey. Nel frattempo le emissioni annuali di anidride carbonica sono aumentate di più del 40 per cento. fp

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Traduzione a cura di Peter Ray e  Daniel Iversen

15/03/2012 – Anche se il consolidamento fiscale e la lotta contro la disoccupazione di massa sono le sfide più immediate, i paesi non devono trascurare i problemi a lungo termine. È necessario infatti prendere subito delle misure per evitare danni irreversibili all’ambiente.
” La crescita di fonti di più ecologiche può aiutare i governi ad affrontare questi problemi pressanti”, ha dichiarato il segretario generale dell’OCSE Angel Gurria.
“Per soddisfare le esigenze di oltre 9 miliardi di persone nel mondo entro il 2050, sarà cruciale rendere più rispettose dell’ambiente le attività di produzione, attività agricole, di approvvigionamento idrico e di produzione dell’ energia”
La pubblicazione OECD Environmental Outlook to 2050: The Consequences of Inaction presenta le ultime proiezioni delle tendenze socio-economiche per i prossimi quattro decenni, e le realitve implicazioni per le quattro aree principali di interesse: cambiamento climatico, biodiversità, acqua e impatto dell’inquinamento ambientale sulla salute. Nonostante la recente recessione, l’economia mondiale è proietttata quasi nel quadruplicare entro il 2050. La carestia degli standard di vita sarà accompagnata da un aumento continuo della domanda di energia, cibo e di risorse naturali – e di maggiore inquinamento.
I costi dell’inerzia potrebbero essere colossali, sia  in termini economici che umani, ma anche umana, potrebbe essere enorme. Senza nuove politiche:
  • La domanda globale di energia aumenterà dell’ 80% entro il 2050, questo aumento sarà in gran parte il risultato delle economie emergenti (prevista per il 15% in Nord America, 28% nei paesi europei dell’OCSE, 2,5% in Giappone e 112% in Messico) e sarà soddisfatta ancora all’ 85% mediante l’uso di combustibili fossili. La conseguenza potrebbe essere un aumento del 50% delle emissioni globali di gas serra (GHG) e un peggioramento dell’inquinamento atmosferico.
  • L’ inquinamento atmosferico urbano è destinato a diventare la principale causa di mortalità ambientale in tutto il mondo entro il 2050, in testa alle acque sporche e alla mancanza di servizi igienico-sanitari. Il numero di morti premature dovute all’esposizione prolungata agli agenti atmosferici che portano ad insufficienza respiratoria potrebbe raddoppiare rispetto ai 3,6 milioni correnti ogni anno a livello globale, con maggior incidenza in Cina e in India. A causa dell’invecchiamento della popolazione urbanizzata, i paesi dell’OCSE avranno probabilmente uno dei più alti tassi di morte prematura per l’ozono troposferico nel 2050, secondi solo all’India.

Morti premature da ozono troposferico: numero di morti per milione di abitanti

Fonte: OECD (2012), OECD Environmental Outlook to 2050; Baseline, output dell’Immagine dalla Suite di modelli.  Accesso ai dati non ricorrenti in Escel

  • Sulla terra, la biodiversità globale dovrebbe scendere di un ulteriore 10%, con perdite significative in Asia, Europa e Sud Africa. Le aree di foreste mature sono destinate a ridursi del 13%. Circa un terzo della biodiversità nei fiumi e nei laghi di tutto il mondo è già stata persa, e vengono previste ulteriori perdite entro il 2050.
  • La domanda globale di acqua aumenterà di circa il 55%, a causa della crescente domanda per il settore manifatturiero (400%), centrali termoelettriche (+140%) e uso domestico (+130%). Tali richieste in competizione metterà a rischio l’approvvigionamento idrico per uso agricolo. Rispetto ad oggi ci saranno 2,3 miliardi di persone in più – e oltre il 40% della popolazione mondiale vivrà in bacini sottoposti a elevato stress idrico, in particolare nel Nord Africa e Asia del Centro-SUD.
Queste proiezioni evidenziano l’urgente necessità di un nuovo pensiero. In mancanza di ciò, l’erosione del nostro capitale ambientale aumenterà il rischio di cambiamenti irreversibili che potrebbero compromettere due secoli di crescita del tenore di vita.”Abbiamo già assistito al collasso di alcuni tipi di pesca a causa dello sfruttamento eccessivo delle risorse, con impatti significativi sulle comunità costiere e le gravi carenze di acqua si auspica una vera minaccia per l’agricoltura. Questi enormi sfide ambientali non possono essere affrontate in modo isolato. Devono essere gestite nel contesto di altre sfide globali, quali la sicurezza alimentare ed energetica, e la riduzione della povertà ” dice Gurria.
Politiche ben progettate per affrontare i problemi ambientali possono contribuire ad affrontare altre sfide, e contribuire alla crescita e allo sviluppo. La lotta contro l’inquinamento dell’aria a livello locale contribuisce non solo a ridurre le emissioni di gas serra, ma anche a ridurre l’onere economico legato a problemi di salute cronici e costosi.  Inoltre, le politiche climatiche aiutano a proteggere la biodiversità, per esempio riducendo le emissioni dovute alla deforestazione.
Per scongiurare il triste futuro dipinto dall’ “Environmental Outlook to 2050”, la relazione raccomanda un cocktail di soluzioni politiche: con tasse ambientali e programmi di negoziazione delle emissioni per rendere più costoso l’inquinamento rispetto alle alternative più  ecologiche, valorizzando e prezzando i servizi per  il patrimonio naturale dell’ecosistema come l’aria pulita, acqua e la biodiversità per il loro valore reale; rimuovendo i combustibili fossili o sistemi di irrigazione inefficienti dannose per l’ambiente, e sovvenzionando  l’innovazione ecologica per rendere la produzione inquinante e la modalità di consumo più costosa, fornendo il sostegno pubblico sulla basi di R & D.
 
Politiche di crescita eco-sostenibile sono già un fatto in molti paesi. In Messico, per esempio, esiste un nuovo programma pilota che stanzia direttamente liquidità ai contandini invece di sussidiare l’elettricità usata per pompare l’acqua d’irrigazione, così da rimuovere la distorsione dei prezzi che incoraggia l’uso esagerato delle acque di falda.  Il governo britannico ha stanziato 3 miliardi di GBP per il nuovo UK Green Investment Bank (Banca inglese di investimento verde); questo dovrebbe sfruttare 15 miliardi di investimenti addizionali privati nell’energia rinnovabile e nel riciclaggio di rifiuti entro il 2015.
Il governo americano sta lavorando per eliminare gradualmente le disposizioni fiscali preferenziali di un valore di circa 4 miliardi di dollari all’anno, che continuano a sostenere la produzione di energia fossile. Immettendo capitali nelle proprie tecnologie intelligenti e quelle ambientali, la città di Kitakyushu in Giappone sta lavorando con le imprese per rafforzare la sua competitività come “città verde” per la decrescita del carbonio. I governi, le imprese, i consumatori hanno tutti una parte da giocare per muoversi verso una crescita più verde.
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Leggete il Key facts and figures dal Environmental Outlook to 2050.
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Per ottenere una copia del OECD Environmental Outlook to 2050: The Consequences of Inaction mandare una e-mail a news.contact@oecd.org
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Per maggiori informazioni sul OECD Environmental Outlook to 2050 i giornalisti sono invitati a contattare Helen Fisher per telefono al +33 (0)1 45 24 92 02, o Kumi Kitamori al +33 (0)1 45 24 92 02
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Per maggiori informazioni visitate: www.oecd.org/environment/outlookto2050
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FONTE: OECD

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