Una squadra internazionale di ricercatori guidati dall’Università di Tokyo ha scoperto un nuovo materiale che, quando avvolto in un nanotubo genera energia elettrica se esposto alla luce. Se ingrandita e scalata, dicono gli scienziati, la tecnologia potrebbe venire utilizzata in futuri dispositivi solari ad alta efficienza.

 

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Un rendering grafico del nanotubo di disolfuro di tungsteno Immagine: © 2019 Iwasa et al

 

Gli scienziati studiando possibili applicazioni per un nanotubo semiconduttore hanno scoperto che un determinato materiale – composto da disolfuro di tungsteno – esibisce l’effetto fotovoltaico anomalo (BPVE) a un’efficienza molto più alta rispetto ad altri materiali conosciuti per esibire lo stesso fenomeno. La BPVE avviene quando la corrente generata attraverso l’intera struttura del materiale piuttosto che essere affidata a una giunzione tra i materiali.

“Essenzialmente il nostro materiale di ricerca genera elettricità come fanno i pannelli solari, solo in maniera differente. Abbiamo dimostrato per la prima volta che i nanomateriali possono superare un ostacolo che presto limiterà l’attuale tecnologia solare.”

– University of Tokyo professor Yoshihiro Iwasa

Il disolfuro di tungsteno esibisce un effetto fotovoltaico solo quando avvolto in nanotubi. L’effetto fotovoltaico anomalo avviene perchè il nanotubo non è simmetrico e la corrente generata ha una direzione favorita verso cui scorrere. Altri materiali con una simile struttura di “inversione di simmetria rotta” hanno dimostrato di esibire lo stesso effetto ma Iwasa e la sua squadra hanno scoperto che con i nanotubi di disolfuro di tungsteno l’efficienza di conversione si è dimostrata molto più alta.

“La nostra ricerca mostra un intero ordine di magnitudine di miglioramento nell’efficienza di BPVE rispetto alla sua presenza in altri materiali”, ha detto Iwasa. Lo studio è stato pubblicato su Nature.

In teoria, il BPVE potrebbe fornire agli scienziati una strada verso celle solari più efficienti. In ogni caso, l’efficienza dimostrata per ora risulta essere troppo bassa per andare oltre il laboratorio. Iwasa ha oltretutto osservato che scalare questa tecnologia a grandezze significative costituisce una sfida significante.

“Nonostante questo enorme miglioramento, il nostro nanotubo WS2 non può ancora essere comparato al potenziale generato dai materiali con giunzioni p-n. Questo perchè il dispositivo essendo nanoscopico sarà difficile da ingrandire. Ma è possibile, e spero che i chimici siano in grando di raccogliere la sfida”

– University of Tokyo professor Yoshihiro Iwasa

Fonte: pv-magazine-australia.com

 

 

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Il declino della crescita vegetale è correlato alla diminuizione dell’umidità nell’aria causata dal riscaldamento climatico

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Scienziati affermano che il boom verde causato dall’innalzamento dei livello di co2 potrebbe essere verso la fine. Credit: NASA.

Il mondo sta gradualmente diventando meno verde, questo hanno scoperto gli scienziati. La crescita sta declinando in tutto il mondo, e le ultime ricerche collegano il fenomeno alla diminuizione di umidità nell’aria, una conseguenza del riscaldamento climatico.

Lo studio pubblicato il 14 agosto in “Science Advances” mostra come le osservazioni satellitari fatte sull’espansione della vegetazione abbiano dimostrato una crescita globale per gran parte degli anni ’80 e ’90, tendenza poi terminata 20 anni fa.

Da allora, più della metà dei territori verdi del pianeta ha sperimentato un trend contrario “marroneggiante” insomma una diminuzione della crescita vegetale, secondo gli autori.

Gli archivi climatici suggeriscono il declino sia associato a una metrica conosciuta come “deficit di pressione del vapore” ovvero la differenza tra la quantità di umidità nell’aria attualmente presente e la massima quantità di umidità che potrebbe trattenere. Un alto deficit in questo senso viene spesso chiamato “secca atmosferica”.

Fin dagli anni ’90 più della metà delle aree verdi del mondo hanno sperimentato una mancanza di crescita, o meglio un pattern di disseccamento.

I modelli climatici indicano che questo deficit di umidità continuerà a crescere mano a mano che il pianeta si riscalda, un fenomeno che potrebbe avere un sostanziale impatto negativo sulla vegetazione.

Non è questo il primo studio che documenta il declino del verde globale. Uno studio del 2010 su Science è stato tra i primi a dimostrare che l’onda verde degli anni ’90 ha stallato per poi invertirsi. Lo studio suggeriva come il declino fosse probabilmente legato in qualche modo all’acqua.

Ciò non vuol dire che ogni angolo della terra stia perdendo vegetazione ovviamente. Alcuni studi recenti hanno rivelato come parti dell’artico stiano diventando più verdi mano a mano che il territorio si riscalda, trend presente anche in altre regioni del mondo.

Il discorso è diverso però se consideriamo il fenomeno su scala globale, decisamente negativo.

Il declino si confronta con un tema spesso portato avanti dagli scettici della scienza del cambiamento climatico per minimizzare le conseguenze di questo fenomeno: l’idea che le piante crescano più velocemente con grandi quantità di anidride carbonica nell’aria. Ciò comporterebbe anche un aumento della produzione di cibo a livello mondiale.

Tale ragionamento risulta fallace, come i climatologi sostengono pazientemente da anni. Alti livello di CO2 beneficiano le piante, ma è solo uno dei tanti fattori e ha effetto fino a un certo punto. Le piante sono influenzate da molti altri effetti del riscaldamento climatico, inclusi aumento delle temperature, cambiamento dei pattern metereologici, cambiamenti nella disponibilità dell’acqua etc.

Molti ricercatori hanno suggerito come il riscaldamento climatico nel suo complesso sia probabilmente negativo per la vegetazione mondiale, incluse le colture agricole. Questo nuovo studio suggerisce come queste conseguenze siano già in moto.

E mano a mano che il cambiamento climatico mostra i suoi effetti sulla crescita verde, questo declino potrebbe riflettersi sulla velocità stessa del cambiamento climatico a sua volta.

La settimana scorsa, un rapporto anticipatorio dell’Intergovernmental Panel on Climate Change ha enfatizzato l’importanza del territorio e della vegetazione come strumenti per la mitigazione del clima (Climatewire, 8 Agosto). Foreste e altri paesaggi verdi risultano essere significanti “pozzi di carbone”, eliminando anidride carbonica dall’atmosfera immagazzinandola. Meno crescita dall’altro lato significa meno capacità di assorbimento.

L’umidità atmosferica, come l’anidride carbonica, è solo uno dei tanti fattori che influenzeranno la crescita del verde mondiale nei prossimi anni. Dato però il livello di impatto che gli ultimi due decenni ha avuto il trend negativo di questo fattore, gli autori suggeriscono come “debba essere esaminato attentamente nel valutare futuri cambiamenti nel ciclo dell’anidride carbonica”.

Fonte: Scientificamerican.com

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“Ma le persone hanno bisogno di proteggersi contro gli effetti negativi del sole”

Non importa quanto a prova d’acqua la tua crema solare pretenda di essere, una parte verrà sempre lavata via mentre nuoti nel mare. Mentre questo si dissolve, alcuni dei suoi ingredienti sono noti inquinanti e mettono a rischio tutta la vita marina al di sotto della superficie. Ora un nuovo studio, pubblicato mercoledì sulla rivista Environmental Science and Technology ci mette in guardia su un ulteriore potenziale rischio ambientale.

Secondo l’organismo statunitense National Ocean Service, le sostanze chimiche in questione erano già correlate a stress e morte della barriera corallina, cambiamenti ormonali nei delfini, pattern riproduttivi alterati nei pesci fino ad arrivare a difetti congeniti in cozze e ricci di mare.

Con quest’ultimo studio, condotto dai ricercatori della University of Cantabria e l’Institute of Marine Sciences of Andalusia, si sono scoperte ulteriori allarmanti implicazioni: la crema rilascia quantità significanti di metalli e nutrienti inorganici nelle acque costiere, alcune più velocemente di altre. La luce UV oltretutto può variare la velocità di questo processo.

“Il modello che abbiamo descritto è potenzialmente utile nella comprensione dei rischi associati con la protezione solare rilasciata nell’ecosistema marino costiero”
– Araceli Rodríguez-Romero, Ph.D.

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Le sostanze chimiche delle creme solari sono state da tempo correlate a stress e morte della barriera corallina, cambiamenti ormonali nei delfini, pattern riproduttivi alterati nei pesci fino ad arrivare a difetti congeniti in cozze e ricci di mare.ter a caption

Rodríguez-Romero e colleghi hanno addizionato una crema solare in commercio contenente diossido di titanio a campione di acqua di mare del mediterraneo osservando come le goccioline della lozione rilasciassero metalli e nutrienti nell’acqua. Alcuni composti si sono dispersi più velocemente dopo il trattamento UV,utilizzato per simulare l’esposizione al sole.

Ricerche precedenti avevano già correlato l’Oxybenzone, un comune ingrediente in questi prodotti, a danni subiti dalla barriera corallina e altri impatti nocivi sull’oceano, spronando le amministrazioni locali di Hawaii, Palau e Key West nel vietare completamente questo tipo di creme. Ma le caratteristiche degli altri composti utilizzati sono rimasti un mistero fino alla conclusione di questo studio.

Osservando l’impatto di questi altri composti chimici, i ricercatori hanno scoperto che alluminio, silicio, e fosforo sono quelli che vengono rilasciati più velocemente nell’ambiente in entrambe le condizioni, sia di ombra che di luce. Hanno stimato che in una giornata tipica in spiaggia, i bagnanti potrebbero aumentare la concentrazione di alluminio nelle acque costiere del 4% e di titanio di quasi il 20%.

Altre fluttuazioni sono risultate meno severe, ma i ricercatori avvertono che anche piccoli fluttuazioni di elementi come il fosforo (che normalmente si trova in basse concentrazioni nell’oceano) o il piombo (questo estremamente tossico) possono essere dannose.

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Il danno ambientale derivante dalla dispersione di creme solari potrebbe minacciare il turismo e attività ricreative correlate.

Gli effetti della dispersione della protezione solare sugli ecosistemi marini e sulla salute di nuotatori e bagnanti non sono ancora chiare, ma sappiamo che alte concentrazioni di metalli pesanti sono un pericolo per la salute. I rischi variano da composto a composto, dal grado di esposizione e possono includere disfunzioni ai reni, alle articolazioni, al sistema riproduttivo, cardiovascolare come anche danni acuti e cronici al sistema nervoso centrale e periferico, e non solo.

Dal punto di vista ambientale, livelli eccessivi di metalli e nutrienti inorganici possono dare luogo a cambiamenti drammatici. Queste quantità eccessive rilasciate dalle creme possono causare esplosioni di crescita di alghe, danneggiare il fitoplancton e produrre eutrofizzazione secondo Rodríguez-Romero. Questi fenomeni ambientali possono impattare negativamente sul turismo e attività ricreative correlate a esso, fondamentali per molte economie costiere nel mondo.

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Alternative alle misure tradizionali di protezione dal sole sono il rimanere all’ombra, coprirsi con indumenti che proteggono dal sole come anche l’aumentare delle dosi di antiossidanti nella propria dieta.

Questo studio emerge nel mezzo di un’intenso dibattito in corso sulle creme solari. A maggio, un’altro studio pubblicato su JAMA ha rivelato come tracce di questi composti siano assorbiti nel sangue, facendo insorgere dubbi sulla sicurezza e l’impatto derivante dal loro utilizzo. Lo studio ha dato inizio a un turbinio di discussioni riguardanti i rischi e i benefici delle protezioni.

Per concludere, molti dermatologi, dottori e ricercatori sono d’accordo sulle raccomandazioni da adottare: le creme sono necessarie assieme ad altre precauzioni per godere in sicurezza del sole e prevenire il cancro alla pelle.

I dubbi sorti grazie alla ricerca non devono farti buttare nella spazzatura la tua protezione. I rischi di tumore alla pelle sono conosciuti e i suoi effetti devastanti e diffusi mentre i rischi di esposizione ai prodotti chimici delle creme ancora sconosciuti. Secondo il CDC, tutti dovremmo utilizzare le creme per proteggerci dal sole.

Persino Rodríguez-Romero non raccomanda di interromperne l’utilizzo. “Le persone devono proteggersi contro gli effetti negativi del sole” non esita a dire.
“Gli scienziati che studiano l’ambiente marino e le aziende cosmetiche devono lavorare assieme per creare delle protezioni solari sicure per l’ambiente oltre ovviamente alla salute umana”.

Fonte: Inverse.com

 

 

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Articolo a cura di Denis Gobbi

Molto scalpore ha fatto alcuni giorni fa l’introduzione di uno script sulla nota piattaforma Bittorrent The Pirate Bay che consente di utilizzare la potenza di calcolo dei visitatori del sito allo scopo di minare Monero, una delle criptovalute piu’ di successo al momento.

La notizia è di qualche giorno ormai: The Pirate Bay, il noto sito basato su protocollo di condivisione Bittorrent ha deciso, in completo segreto, di testare un algoritmo javascript offerto da CoinHive che permette di prendere in prestito, durante la visualizzazione del sito, la capacità di calcolo hardware dei visitatori per generare Monero, una delle criptovalute piu’ diffuse al momento, seppur lo stesso CoinHive consigliasse nella documentazione fornita di evitare di tenere all’oscuro i propri utenti in merito a questo innovativo sistema di remunerazione.

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Subito in maniera istintiva nel web è partita l’indignazione, ma è davvero così tragico?

Ovviamente il tenere all’oscuro gli utilizzatori lo è, ma non mi riferisco a questo quanto al potenziale di tale soluzione nel risolvere una crisi che a lungo ha afflitto e ancora affligge sia fornitori che creatori di contenuti costretti a combattere su piu’ fronti per sopravvivere cercando di rendere remunerabili i propri servizi; spesso entrando in conflitto tra di loro.

AAEAAQAAAAAAAAaiAAAAJGYzZWY4NDUyLTNlYzQtNDJiMy1iZDVhLTYyYWFkZmIwYTY0OQNella maggior parte dei casi per farlo ci si affida a un advertising a volte fin troppo aggressivo e costretto a fare i conti con i capricci sia degli utenti che rispondono con vari plugin che bloccano la pubblicità, sia con quelli delle aziende che forniscono la stessa, i quali non sempre sono contenti di far apparire il loro prodotto di fianco a certi tipi di contenuti da loro considerati discutibili. Forse Youtube piu’ di molti altri sta pagando a caro prezzo queste dinamiche. Distinguere i contenuti giusti per un certo tipo di pubblicità filtrando quelli non adatti non è un compito facile e spesso di mezzo ci rimettono i creatori di contenuti, che si ritrovano di frequente ingiustamente tagliati fuori dalla possibilità di poter remunerare il proprio lavoro.

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Altre volte, ci si affida a improbabili abbonamenti, i cosiddetti “paywall” che permettono solo a chi paga un abbonamento di accedere ai contenuti. Non sembra stia funzionando bene come alternativa purtroppo dato il numero di portali che iniziano a percorrere questa strada e che nella maggior parte dei casi finiscono per ritornare sui loro passi.

Finalmente pero’ si affaccia una nuova possibilità, servizi come quello fornito da CoinHive sembrano aggiungere una valida alternativa ai sistemi che fino ad ora l’hanno fatta da padrone, e potrebbero potenzialmente risolvere questo problema. Se ci si sofferma un attimo ad esaminare questa alternativa, prendere in prestito l’hardware dei visitatori è un metodo che comporta diversi vantaggi:

– Non disturba la lettura dei contenuti, di conseguenza l’impatto sull’usabilità del sito internet migliora notevolmente

– E’ equo, nel senso che fintanto che sei sul sito, il tuo hardware lavora per la creazione di Monero utilizzati per generare introiti supportando fornitori e creatori, appena abbandoni la lettura però, il tutto finisce. Presumibilmente piu’ hai dispositivi con alta capacità di calcolo, piu’ la tua capacità contributiva risultera’ essere alta. Se hai dispositivi poco performanti, il tuo contributo sara’ ridimensionato. Spesso la potenza del dispositivo coincide con la capacità contributiva di ognuno.

Qualcuno potrebbe controbattere giustamente esclamando che il costo si ripercuoterà sulla bolletta elettrica, ma in che misura? E’ presto detto, considerando che la maggior parte dei portatili moderni (i computer ad oggi piu’ diffusi nelle case degli italiani) non ha alimentatori che superano i 130W e che difficilmente arriveranno a pieno carico durante la lettura di tali articoli, seppur con un miner in esecuzione, ipotizziamo pessimisticamente un consumo esagerato di 200 Watt, per 5 giorni la settimana, 2 ore al giorno, facciamo 200 X 10 x 52 settimane = 104000 Watts per ora o 104 Kwh.
104 X 0,14 (costo medio dell’energia elettrica tenuto inconsiderazione) = 14,56 Euro di spesa annuale di energia elettrica. Preferite pagare un abbonamento per ogni sito che visitate, innervosirvi per via dell’infestazione di inserzioni pubblicitarie che impestano le pagine o pagare questa piccola spesa sottoforma di energia elettrica, che andrà a beneficiare molto di piu’ chi vi fornisce il servizio, creando effettivamente valore?
Per i dispositivi mobili il discorso potrebbe impattare negativamente sulla durata della batteria, ma si potrebbe adottare un carico di lavoro inferiore e comunque, per chi non lo sapesse, le inserzioni pubblicitarie presenti in pagine web e applicazioni mobili già impattano sulla batteria, e ancora maggiormanete sulla banda dati utilizzata.

Ovviamente, The Pirate Bay non è stato l’unico ad avere questa idea, c’è arrivata anche la criminalità che, a più riprese, ha piazzato codici simili su svariate piattaforme violandole, tentando di farlo in completo segreto a proprio vantaggio (1) (2) (3). Ma questo è spesso accaduto, di uno strumento si puo’ farne un cattivo o buon uso, sta a noi distinguere senza giudicare la tecnologia stessa che per sua natura è considerata neutra.

Potenzialmente un’innovazione estremamente utile, una rivoluzione che potrebbe cambiare in meglio la qualità dell’internet che utilizziamo tutti i giorni, ma che potrebbe determinare una crisi senza precedenti per chi fa dell’advertising il proprio core business, cambiando per sempre il web per come lo conosciamo ora, travolgendo chi non si adatterà all’ennesima applicazione derivata da questa nuova fantastica tecnologia che negli ultimi anni fa sempre piu’ parlare di sè, la blockchain.

 

 

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Traduzione a cura di Denis Gobbi

Tutti a bordo per Moontown

Villaggi sulla luna costruiti da enormi stampanti 3D e abitati per mesi da diverse squadre di astronauti alla volta, tutto ciò potrebbe divenire realtà nel prossimo decennio come una recente conferenza di 200 scienziati, ingegneri e esperti industriali ha concluso.

La costruzione di questa base lunare presidiata permanentemente potrebbe iniziare già entro cinque anni, come l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha già annunciato al suo Simposio Internazionale sulla Luna 2020-2030 nei Paesi bassi lo scorso mese, suggerendo che un villaggio lunare potrebbe fornire una solida piattaforma per future missioni su Marte.

“La strategia dell’ESA per l’esplorazione spaziale definisce la Luna come una destinazione prioritaria per l’umanità sulla strada per Marte,” ha affermato Kathy Laurini di NASA a Leonard David di Space.com. “Il tempismo è quello giusto per testare le capacità che permetteranno all’Europa di raggiungere i suoi obiettivi esplorativi e riconfermarsi come buon partner in un momento in cui gli esseri umani si apprestano ad esplorare il Sistema Solare.”

NASA in particolare ha un elevato interesse in questo progetto, dato che la Luna è stata designata come una tappa strategica per una missione umana verso Marte. Gli scienziati del MIT hanno calcolato lo scorso mese che astronauti provenienti dalla terra potrebbero venire lanciati con il 68% di massa in meno se si rifornissero per la maggior parte del loro carburante liquido pesante da una base lunare lungo il tragitto.

Aggiungiamo il fatto che NextGen Space LLC, una compagnia consulente per la NASA, ha recentemente stimato che una stazione di rifornimento lunare “ridurrebbe i costi per NASA riguardante le spedizioni di esseri umani verso Marte fino a circa 10 miliardi di dollari all’anno”, così una base lunare comincia a diventare pressochè inevitabile.

Il piano delineato dall’ESA consiste nello spedire robot su marte a cominciare dai primi anni del 2020 con la missione di costruire diverse strutture, a cui seguirà la spedizione dei primi abitanti negli anni successivi.

Fin dal 2013, ESA ha collaborato con compagnie di costruzione per iniziare a testare diverse tecnologie di costruzione per delle basi lunari, giungendo alla conclusione che i materiali locali saranno i migliori per costruire edifici e altre strutture, il che si traduce in nessun bisogno di trasportare risorse dalla Terra ad un costo che si rileverebbe astronomico.

 

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ESA/Foster + Partners

 

“Per prima cosa, ci serve mischiare il materiale lunare simulato con ossido di magnesio. Questo si trasforma in una “carta” che possiamo utilizzare per stampare,” ha spiegato in passato Enrico Dini, fondatore di un’azienda manifatturiera del Regno Unito, Monolite.

“Quindi per il nostro inchiostro strutturale, applichiamo un sale legante che rende il materiale solido quanto la pietra. La nostra stampante attuale costruisce ad un ritmo di 2 metri per ora, mentre il nostro progetto di nuova generazione sarà capace di raggiungere i 3,5 metri per ora, completando un intero edificio in una settimana.”

L’azienda architettonica Foster e i suoi collaboratori hanno ideato un sistema di cupola peso-portante a “catena”, la quale possiede un muro strutturale a celle capace di schermare i residenti da micrometeoriti e radiazioni spaziali, oltre a un’altra struttura a celle chiuse incavate che dona alla struttura un buon rapporto resistenza-peso.

Una volta lì, affermano gli scienziati, scopriremo se le risorse sulla luna sono davvero importanti come pensiamo che siano.

“Continuiamo a parlare di risorse lunari, ma dobbiamo ancora dimostrarne la loro utilità […] ” ha affermato l’ingegnere Clive Neal dell’Università di Notre Dame a Space.com. ” Una solida verifica della grandezza di depositi, composizione, forma e omogeneità richiede un programma di prospetto coordinato. Un programma riuscito dimostrerebbe quindi chiaramente se le risorse lunari potrebbero abilitarci all’esplorazione del sistema solare.”

Che il villaggio Lunare diventi realtà o meno nella prossima decade, NASA è determinata a mandare in orbita intorno ad essa i suoi astronauti per mesi , annunciando lo scorso mese  che “uscirà dalla ISS (International Space Station / Stazione Spaziale Internazionale ndt) il più velocemente possibile” per stabilire delle attività intorno alla Luna al suo posto.

Trascorreranno giorni, piuttosto che ore, lontano dalla Terra e dal suo protettivo campo geomagnetico, il che darà agli astronauti un’idea migliore di cosa dovranno affrontare fisicamente e psicologicamente in una missione abitata verso Marte.

Una cosa è sicura, vivremo attraverso degli avvenimenti davvero entusiasmenti nel nostro prossimo futuro.

 

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ESA/Foster + Partners

 

Fonte: sciencealert.com

 

 

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