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Traduzione a cura di Denis Gobbi

Potrebbe essere possibile creare un hamburger che aiuti l’ambiente e migliori la tua salute. Ma il suo sapore riuscirà a conquistare le masse?

 

Le persone vogliono hamburger. Puoi leggere “Catching Fire” di Richard Wrangham per scoprire come l’uomo si sia evoluto in un primate pensante imparando a cucinare gli animali che uccideva. O puoi chiedere al titolare di una prestigiosa scuola di cucina in Giappone, co-proprietario di un ristorante specializzato in sushi di Manhattan. Dove trovi il carburante più efficiente per il tuo allenamento triatletico? Da un paio di quarti di libbra da McDonald’s ogni giorno ovviamente!. Vegetariani e vegani vogliono hamburger. Walter Robb, co-CEO di Whole Foods, afferma che da quando ha avviato un negozio di cibo salutare nel nord della California alla fine degli anni ’70, ha venduto tofu, seitan e qualsiasi altra cosa che potesse sembrare carne anche se in realtà non lo era. “Questa roba vende”, dice semplicemente. Libri interi dedicati a burger vegan, anche se sanno di cartone ondulato deidratato e stagionato. Ovviamente, ci sono ottime ragioni per per decidere di non mangiare carne. Li puoi ovviamente menzionare insieme a Ethan Brown, un robusto vegano alto 6 piedi (ndt 183cm circa) che ha venduto la sua casa in Washington D.C. e saccheggiato i suoi risparmi familiari per fondare una startup chiamata “Beyond Meat” (“Oltre la Carne” ndt). Dato che allevare bestiame è terribilmente inefficiente in quanto a consumo di acqua e terreno, egli ha pensato che creare strisce di “pollo” di soia e polpette di proteine vegetali “the Beast” (“la Bestia” ndt) avrebbero rappresentato una via per aiutare l’ambiente di gran lunga migliore che, per esempio, creare celle di combustibile: la carriera che ha abbandonato. Lungo la strada ha trovato in Bill Gates e nei fondatori di Twitter Biz Stone e Evan Williams dei validi finanziatori. E’ difficile, di fatto, trovare un miliardario della tecnologia che non abbia investito in un’alternativa alle proteine che miri a mettere fuori mercato gli allevamenti tradizionali. Tutti loro riconoscono la realtà del mercato: tutti comprano hamburger. “La carne è così da macho” sostiene Williams. Io mangio carne, è difficile essere un recensore di ristoranti come me, astenendosi dal farlo. Mi piace pensare di essere un po’ meno colpevole se questa è stata cresciuta con cura, uccisa umanamente (non che questo significhi qualcosa di ben chiaro per me, da quando ho iniziato a scrivere a proposito di cibo ho guardato polli, agnelli e bestiame venire uccisi e macellati in fattorie e mattatoi), e venduta ad un prezzo che renda possibile uno stipendio decente per tutte le persone coinvolte nella sua produzione. Ma non ho mai provato ad illudermi del fatto che non più che una piccola frazione delle persone che vogliono la carne possano permettersi di tenere vive queste illusioni. Il problema è che le nuove alternative sono – usando le parole di un miliardario della tecnologia che non si è venduto all’idea, Nathan Myhrvold (chef e autore dell’enciclopedica Cucina Moderna) – essenzialmente un “Tofurkey leggermente migliore” (il Tofurkey è un piatto di Tofu o Seitan ndt). E allora perchè preoccuparsi? Questa è stata la domanda che mi frullava nella mente mentre ero diretto agli uffici di Beyond Meat a El Segundo, California. Perchè sacrificarsi per produrre un burger non-proprio-di-gomma? Perchè non creare semplicemente qualcosa di nuovo?

Il Manzo

Beyond Meat può considerarsi una compagnia tecnologica, il tutto è cominciato quando Brown ha cominciato a rovistare tra documenti scientifici per trovare i ricercatori universitari che stavano lavorando ad avanzamenti nella T dell’acronimo TVP – Textured Vegetable Protein (strutture di proteine vegetali ndt), che solitamente hanno una consistenza a metà tra la lavorazione della creta e la spugnetta di lattice. La struttura, Brown ha pensato, era la chiave che poteva condurre ad un miglior sostituto della carne. Egli ha voluto variare anche la V: per la maggior parte TVP significa soia, in un mondo dove molte persone vogliono evitare organismi geneticamente modificati e praticamente tutta la soia è OGM (non quella destinata ad alimentazione umana in europa, grazie all’attuale legislazione europea in merito ndt). La sua premessa fù che la sfida del sapore fosse già stata vinta dai chimici che vi lavorarono dai tardi anni ’60 fino agli ’80 – un’era d’oro per la sperimentazione nel campo della lavorazione del cibo, quando gli strumenti per misurare il sapore furono inventati e perfezionati e le multinazionali del sapore facevano a gara per sviluppare nuove molecole. I suoi uffici a uffici a El Segundo in California, situati in una strada tranquilla costeggiante la spiaggia in un quartiere con centri commerciali, sembra – più che una startup hi-tech – il dominio di alcuni pensatori rilassati e amichevoli. L’essenziale macchina oggetto principale della ricerca consiste in un estrusore dal goffo aspetto che Brown chiama “Il Manzo,” per sottolineare la sua efficienza nel convertire il suo cibo in “carne.” I progettisti mescolano pastoni di soia bianca e proteine di piselli somiglianti a cibo per animali provenienti da secchi di plastica bianchi in un lato della macchina insieme ad acqua, prelevando strisce dall’estrusore per controllarne umidità e la consistenza. Un ragazzo su di un tavolo di noce utilizza un contagocce per somministrare con precisione un liquido color ruggine derivante dalla curcuma in una polpetta “Beast” per scoprire se si è in grado di trattenere il liquido all’interno della “carne” durante la cottura e creare un look alla mioglobina, una proteina presente nelle cellule muscolari; i piatti di carta sotto i tortini cucinati intanto continuano ostinatamente a colorarsi. La cucina sperimentale ha una dispensa aperta con ripiani pieni di spezie e peperoni d’ogni tipo, polveri d’amido solo leggermente più astruse di quelle che troveresti in un supermercato, ed un fornello che sembra uscito da un appartamento in affitto.

A causa della sua complessa struttura, la carne è una delle cose più difficili da imitare tramite gli aromi e la strutturazione delle proteine.

 
Dave Anderson, un amichevole e leggermente ispido chef, gestisce un popolare ristorante vegan a Los Angeles, dove è particolarmente fiero del suo “multistep portobello mushroom bacon” e del suo seitan cotto in brodo di funghi (“lo potresti tagliare come un morbido filetto”). Brown potrebbe aver pensato che il sapore fosse la parte più facile e la struttura quella più ardua, ma Anderson ha imparato tramite il vecchio metodo del prova e sbaglia che entrambi sono alte montagne da scalare. La carne, ci dice Don Mottram, un professore emerito di chimica dei cibi all’Università di Reading, è il problema più difficile da risolvere per le compagnie nel campo della chimica degli aromi. A causa della sua complessa struttura, sostiene, la carne sviluppa un sapore a tassi differenti mano a mano che grassi, muscoli e ossa cuocciono in successione. Mottram ha speso decenni nell’investigare il sapore della carne ed in particolare la reazione di Maillard, ovvero la caramellizzazione dei carboidrati che rilascia centinaia o addirittura migliaia di composti differenti durante la cottura. L’approccio di Anderson all’aroma deriva dal cuoco che è in lui: sperimentare costantemente con proporzioni e ingredienti. Coraggiosamente riscalda alcune strisce di “Beyond Chicken” lightly seasoned (“Oltre il Pollo” leggermente stagionate ndt),  “Beyond Beef” beefy crumbles (“Oltre il Manzo” muscoli sfrigolanti ndt) e un “Beast Burger” (Burger Bestia) per farmeli assaggiare in contrasto con la loro controparte di vera carne – una cosa che lui e il resto degli sviluppatori di aromi, inclusi i vegani più accaniti, eseguono regolarmente (loro credono che dando ai loro compagni vegan alternative migliori possa fargli recuperare il karma perso in queste occasioni). Rimango impressionato dalle strisce “leggermente stagionate”,  simili al pollo ribollito del pranzo del sabato di mia nonna ungherese proveniente dalla sua zuppa di pollo del venerdì sera. Lei usa aglio e cipolla dappertutto, troppo sale e abitualmente del prezzemolo fresco o deidratato. Così fà anche Anderson. Quel che a lei richiede ore di ebollizione per un particolare acquitrinoso ancora asciutto e una gommosa consistenza, Beyond Meat lo ottiene tramite la produzione di pezzi di soia estrusa aromatizzata in salamoia con procedimento sottovuoto, cosicchè il liquido possa penetrare al meglio. Le strisce di pollo di una confezione proveniente da Tyson o da un simile supermercato  – lo standard che Anderson stà cercando di imitare – ha un sapore più carnoso. Ma solo leggermente. La loro struttura gommosa e fibrosa è più inequivocabilmente carne rispetto alle strisce di Beyond Meat, anche se queste ultime ci sono vicine e si avvicineranno sempre più. Tim Geistlinger, a capo del reparto Ricerca e Sviluppo, mi lascia provare un nuovo prototipo di strisce di “pollo” estruse dal Manzo, aventi una striatura più variegata della versione corrente. Con una migliore idratazione, le strisce con la nuova configurazione possono essere difficilmente distinguibili da quelle tirate fuori da un borsa del supermercato Tyson. Sono passato attraverso la migliore parte della confezione delle strisce Beyond Meat senza pensarci davvero troppo. E sicuramente mangerei più volentieri ciò che estrude Beyond Meat piuttosto che il contenuto della confezione di Tyson.

La relativa asciuttezza di un Beast Burger può venire rimediata con gli stessi metodi utilizzati nei tradizionali hamburger.

La Bestia è più problematica. Necessita di essere abbellita con molto condimento, più cipolla e aglio, paprika, mesquite, zucchero – per coprire il gusto della polvere nutriente che contiene cosicchè Brown possa dire nei Ted-talk che il suo prodotto ha più ferro e proteine del vero manzo, più acidi grassi omega-3 della stessa quantità di salmone. Quello che manca alla Bestia è abbastanza idratazione per permetterti di fare a meno di aggiungerci una discreta quantità di liquido per cucinarla fino in fondo. Quando ho visto Brown mangiarne una, ci ha aggiunto ketchup, pomodoro a fette e lattuga. La cosa più impressionante non è quanto vicini siano questi prodotti agli originali strisce di pollo e carne di manzo da supermercato che cercano di imitare ma quanto ne esca degradato il nostro senso del sapore. Se Bill Gates e gli altri luminari investitori di Beyond Meat possono essere ingannati, come dicono di esser stati, potrebbe essere più a causa delle loro abitudini piuttosto che al gusto vero e proprio del pollo o della bistecca. Dopo il mio viaggio degustativo, sono andato a Cut, una delle più costose bisteccherie di Los Angeles, all’Hotel Beverly Wilshire. Non c’è nulla di equiparabile ad una bistecca con tutto quel grasso marmoreo intramuscolare da strappare a morsi dall’osso in un’osteria: un filetto da masticare delicatamente, tendini e cartilagine come struttura e un pesante picco di grasso che sembra ne suo piccolo un intero gruppo alimentare. Beyond Meat e i suoi rivali sono lontani decenni da qualcosa di simile.

La cosa più impressionante non è quanto vicini siano questi prodotti agli originali strisce di pollo e carne di manzo da supermercato che cercano di imitare ma quanto ne esca degradato il nostro senso del sapore

 
Ma per quanto riguarda gli hamburger kobe portatici da Cut come omaggio dopo che il mio tavolo ha ordinato abbastanza bistecche da renderlo conveniente per il ristorante: una volta raschiata via la cenere carbonizzata e ignorato il ketchup fatto in casa e il buon pane appena sfornato, la cartilagine gommosa non è così tanto distante dal manzo asciutto e insaporito che Anderson ci ha servito insieme alla “Bestia” di Beyond Meat. Il macinato di manzo da solo è triste. Con un po’ di lavoro su gusto e umidità, Anderson e Geistlinger saranno capaci di passare oltre all’apparenza di cibo per cani della “Beast”. Potrebbero addirittura perfezionare la bistecca Salisbury e insinuarsi in quelle principali mense scolastiche che Anderson immagina di poter agguantare nel corso della sua vita o ancora imitare quel petto di pollo senza pelle che entrambi pensano non sia poi così lontano da raggiungere. Un’altra alternativa – la carne in provetta, anche conosciuta come carne coltivata, carne in vitro o carne da laboratorio – è probabimente a decenni di distanza dalla sua commercializzazione, nonostante l’introduzione di un hamburger in vitro da 332.000 dollari alla London Press Conference di agosto 2013. Questa carne macinata rosata è stata prodotta nel laboratorio dell’Università di Maastricht diretto da Mark Post, un biologo vascolare e chirurgo: consiste in miliardi di cellule coltivate a partire da alcune singole cellule di muscolo scheletrico prese dal collo di un bovino, nutrite in un caldo brodo di nutrienti sintetici e siero fetale di mucca. Per permettere alle cellule di crescere in miotomi, i mattoni costituenti la fibra muscolare, i ricercatori riducono il siero presente nel brodo causando il blocco della divisione e fusione cellulare. Quindi sospendono le cellule in un gel che circonda una colonna centrale che gli permette di allinearsi e formare fibre muscolari. Per sostenere la struttura, Post e gli altri hanno prima utilizzato del velcro e poi cercato opzioni biodegradabili. Alla degustazione in diretta, i degustatori hanno riportato che l’hamburger sapeva quasi come uno di quelli tradizionali, ma non così succoso e “sorprendentemente croccante.” (il finanziatore dell’hamburger è stato Sergey Brin.) In qualche modo le menti pragmatiche di ricercatori in Brooklyn, New York, stanno mirando a produrre colture in vitro in un’azienda chiamata “Modern Meadow” – ndt Prato Moderno – (il nome di queste aziende, come avrete notato, sfocia nell’orwelliano). Gabor Forgacs, un fisico teorico che ha cambiato a metà strada la sua carriera in biologia dello sviluppo e suo figlio, Andras, stanno incubando cellule di manzo e mischiandole con pectina e spezie per creare una serie di prodotti, incluse “patatine cotte al gusto di bistecca”. La loro compagnia d’origine, Organovo, intende produrre tessuto vivente per il test di farmaci; produrre cibo sembrava un obiettivo egualmente raggiungibile. Ovviamente, Modern Meadow possiede anchessa il suo angelo custode della Silicon Valley: Peter Thiel. In teoria, le colture di carne posso essere prodotte in scala e offrire qualcosa di vicino alla vera carne più di qualsiasi altro progetto attualmente in sviluppo. Grazie alla sua natura, offrirebbe i gusti complessi della carne.  Ma per ora è ancora nella fase di pura ricerca. I problemi sono molti: gli scienziati devono scoprire come far crescere il grasso intramuscolare, tendini, cartilagine come pure le ossa, oltre a una struttura che mimi le vene e i vasi sanguigni che tengano queste cellule nutrite cosicchè non diventino cancrenose. Il lavoro è così costoso che probabilmente gli step sucessivi porteranno a tentativi di produzione di organi per il trapianto – che “valgono milioni di dollari a libbra piuttosto che solamente i dieci dollari di una libbra di carne,” come ci ha fatto notare Myhrvold.

Vera innovazione

Nulla di questo sarà abbastanza per le persone che tengono alla cucina. Ingannare più persone avvicinandosi alla degradata carne industriale difficilmente eleverà il palato medio americano. Dichiaratamente, nessuna di queste aziende stà mirando a questo: il loro audience non consiste nelle persone impegnate nella frontiera del gusto. Ma per persone che vogliono esserci in frontiera, alcune nuove ricerche potrebbero tradursi in effettivi miglioramenti. Ciò che mi interesserà scoprire è come i cuochi useranno queste tecniche di isolamento delle proteine per creare intere nuove strutture. Un paio di piatti eterei mi hanno indicato questa via. Li ho provati durante una competizione di washoku, una fisolofia culinaria giapponese che glorifica l’umami con risultati che vanno dal semplice allo squisito. Una era una piramide di tremante e sottile tofu di sesamo, una specialità di Kyoto per monaci buddisti. Simile ad un budino con un’aroma muschiata di sesamo tostato e soia chiara, non intendeva essere nient’altro che delicata, ed è stata diversa da qualsiasi altro tofu io abbia mai assaggiato, inclusi quello nei ristoranti di koreatown che ne sfornano lotti freschi ogni poche ore. L’altro piatto consiste invece in una piccola ciotola bianca di bianco e luminescente tofu ripensato da Rene Redzepi, Lars Williams e il loro staff quando hanno organizzato un avamposto del ristorante danese Noma a Tokyo gli scorsi Gennaio e Febbraio. E’ stato uno dei classici piatti giapponesi che hanno osato fare, Williams ci spiega, una notte mentre stavano osservando il personale in cucina. Piccoli trucioli di leggere, beige e acerbe noci grattuggiate che lo rivestivano come fosse neve; una salsa di erbe verde smeraldo era posata sul fondo. Il piccolo cubo di tofu non sapeva tipicamente di latte o soia, anche se possedeva una reminescenza di entrambi; era come aria di seta, la chiara espressione di cosa il tofu fresco può diventare. Nelle mani di cuochi capaci di tale livello di immaginazione e abilità, la proteina dei piselli isolata – anche fortificata con omega 3 e ferro – può essere la via per salvare il mondo e contemporaneamente mantenerlo in sicurezza per l’inventina culinaria.

Fonte: technologyreview.com

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